sabato 11 agosto 2012

Mariano Fortuny nella moda del XX secolo

Artista singolare nel panorama creativo tra la fine del XIX e la prima metà del XX, Mariano Fortuny  i Madrazo fu pittore, scultore, decoratore, scenografo, disegnatore di abiti e mobili, progettista, fotografo, tecnico della luce, inventore. Questa personalità eclettica considerava strettamente connessi arte, scienza e artigianato, cercando sempre di controllare l’intero processo elaborativo. Sulla scia del movimento inglese “Art and craft” cui faceva capo William Morris, reinterpretava il passato, e in particolare il rinascimento e il barocco, utilizzando tutte le tecniche messe a disposizione dalla ricerca moderna. Lavoratore instancabile, era convinto come Nietzsche che la volontà fosse il miglior maestro  e produsse un’enorme quantità di artefatti personali, in piccola parte visibile tutt’oggi  nella sua casa-museo veneziana.
Mariano Fortuny nacque a Granada nel 1871, compì studi pittorici e ben presto, stabilitosi e Venezia, si inserì nei più importanti  circoli accademici e cenacoli artistici culturali. Appassionato della musica di Wagner, credeva come il compositore nell’opera d’arte totale, dove musica, scenografia e architettura teatrale si univano pienamente e inscindibilmente: si dedicò quindi a realizzare scenografie e costumi per la Scala di Milano, assieme a progetti per il teatro privato della contessa Bearn, sua mecenate, che gli permise di elaborare  un sistema illuminotecnico complesso e innovativo detto “Cupola”. Mentre arrivava il successo Fortuny cominciò a creare abiti e tessuti stampati, basandosi sulla sua notevolissima cultura figurativa che spaziava dall’cretese e micenea al Settecento francese.
Dai vasi antichi prese  spunto per motivi  di pesci, molluschi, fiori e piante inquadrati in composizioni geometriche, dall’arte persiana e turca, piccoli motivi floreali che ben si adattavano al gusto liberty; dai tessuti medievali e lucchesi elementi vegetali e zoomorfi, dal rinascimento – che più di ogni altra cosa amava - i motivi della melagrana e del cardo, e le impaginazioni cosiddette a “griccia” o a “cammino”; dalle stoffe del XVI e XVII secolo, le “grottesche”, senza dimenticare i grandi fiori in uso nel barocco e l’arte cinese e giapponese. Guardava inoltre Carpaccio, Cima da Conegliano, Vivarini, la pittura toscana, restando aderente a una cultura di recupero archeologico molto diffusa nel periodo in cui viveva. L’unica libertà che si prese fu di cambiare i colori, preferendo il bruno, il blu, il verde, il nero e recuperando invece l’oro che veniva stampato su pregiati velluti e trasparentissime garze di seta. In un’epoca in cui ormai si usavano coloranti sintetici, preferì  quelli naturali ottenuti  da insetti e piante come la cocciniglia e l’indaco.
I sistemi di lavorazione che utilizzava sono in gran parte ancora segreti: tipici della sua produzione sono i metodi antichi della “groffatura” che gli permetteva di ottenere delicati motivi e rilievo, giocando fondamentalmente sulla luce e sulle ombre delle pieghe, e del “barré”, ossia linee orizzontali brillanti che si rilevano nelle parti stampate in oro e argento e che imitano le trame broccate. 
Le matrici di imprimitura erano sia quelle xilografiche, sia quelle litografiche, sia il metodo “pochoir”, ripreso dalle tecniche di stampa giapponesi e consistente in un disegno ritagliato da due fogli di carta incollati.
Oltre alle realizzazioni costumistiche teatrali, Fortuny si dedicò alla moda: sull’onda del gusto corrente e soprattutto del tentativo di liberare la donna dagli impacci del busto e di inventare linee sciolte e comode, creò per le sue clienti, attrici e nobildonne, tuniche, cappe, mantelli, djellabah, kimono, sari, dolman, burnus, caftani col cappuccio guarniti di piccole nappe e a volte di delicate perline di Murano. Isadora Duncan, Eleonora Duse, le sorelle Gramatica, Sarah Bernardt, Peggy Guggenheim, indossarono i suoi abiti sulla scena e nella vita. Tra questi indumenti ebbe grande successo la tunica “Delphos” inventata con la moglie Henriette dal 1907, ed ispirata agli antichi chitoni greci: era costituito da quattro o cinque teli a fitte pieghe libere, piatte e irregolari, che aderiva al corpo.  Di questo modello l’artista produsse svariate copie colorate in tinta unita.
La vera affermazione sul mercato internazionale avvenne grazie all’Esposizione internazionale di Arti decorative di Parigi nel 1911: la rassegna lo fece conoscere e apprezzare soprattutto negli anni Venti, consacrandolo alla fama attraverso le pagine di Vogue, e in Italia, de”L’Illustrazione italiana”, mentre perfino Marcel Proust gli dedicava una nota nella sua “Recherche”.   
Nonostante il successo  nella moda, Fortuny continuò ad occuparsi  di teatro, scenografia, decorazione illuminazione di interni; nel 1919 fondò inoltre a Venezia, alla Giudecca, la fabbrica per la produzione industriale di stoffe di cotone, aprendo inoltre numerosi punti vendita in tutta Europa.   
Alla fine degli anni Trenta, ricchissimo e famoso, si ritirò nella sua sfarzosa dimora di San Beneto  dedicandosi principalmente alla pittura. Morì nel 1949.
I tessuti Fortuny sono tuttora fabbricati a Venezia, ma sono soprattutto apprezzati per la loro leggendaria bellezza negli Stati Uniti. Realizzati ancora a mano e con sistemi di lavorazione gelosamente custoditi, vengono lavorati con macchine da stampa concepite dall’artista, come sono immutati i macinini dei materiali e gli immensi stendini in legno su cui si può far asciugare una pezza lunga ben 120 metri.  La produzione in serie non è mai uguale e i passaggi di lavorazione sono decine per un periodo di quattro mesi.  L’azienda, attualmente condotta dal manager Giuseppe Iannò,  esporta prodotti per la tappezzeria, continuando a valorizzare la tradizione tra arte e business.                                                                                                

Bibliografia:
Fortuny nella Belle epoque, Catalogo della mostra, Electa, Milano, 1984
Fortuny e Caramba: la moda e il teatro, Catalogo della mostra, Marsilio, Venezia, 1987
http://fortuny.visitmuve.it/

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