giovedì 12 ottobre 2017

Le dure leggi medievali sull'abbigliamento e i segni di esclusione sociale


Lebbroso con battola
Sembra impossibile, ma prima della Rivoluzione francese non ci si poteva vestire come si voleva. I regolamenti sull'abbigliamento sono molto antichi: già dal tempo dei romani la Lex Oppia (215 a.C.) proibiva alle donne di indossare abiti colorati con la porpora - prodotto costosissimo ricavato da un mollusco gasteropode - riservato per il suo valore solo ad uso sacerdotale e regale, mentre uguali restrizioni erano destinati ai gioielli. In Europa le leggi Suntuarie (da sumptus, spesa) furono, specie dal medioevo, una normativa costante che regolava la moda maschile ma soprattutto femminile cercando di ricondurla alla semplicità nel quadro della lotta alle vanità propugnata dal cristianesimo. Un tipico esempio è il caso delle Costituzioni del cardinal Latino Malebranca – legato pontificio per la Lombardia, la Toscana e la Romagna – che nel 1279 volle stabilire la lunghezza massima degli strascichi femminili oltre a obbligare le donne a portare il velo, pena la mancata assoluzione, cosa gravissima per quei tempi. L'opera dei legislatori laici si affiancò alle posizioni dei moralisti e dei predicatori causando una lotta che sarebbe durata secoli, tra chi vietava e chi eludeva il divieto con risultati talora comici: ad esempio, per tornare alle Costituzioni suddette, un cronista narra che le donne misero sì il velo, ma l'ornarono furbescamente con liste d'oro in modo da sembrare più belle.
Tarocchi Gringonneur, Il Matto
Un ulteriore punto importante – e per noi odioso – era che la funzione del vestito doveva contraddistinguere le classi sociali: in molte città medievali infatti un pervicace spirito di casta escludeva dal lusso la borghesia, certamente ricca ma priva di potere politico. A capi di governo, signori, magistrati, dotti e cavalieri e relative mogli erano permessi indumenti e decori altrimenti proibiti ai più, con corollario di multe e punizioni crudeli come a Firenze, in cui si fustigavano sulla pubblica piazza le fantesche ree di aver le maniche chiuse da un'abbottonatura che superava il gomito. Malignamente si può anche notare che – essendo tutti i legislatori uomini – erano molto tolleranti col loro sesso, ma non altrettanto con l'altra metà del cielo, molto più duramente bersagliata.
Nella società europea antica chi non si sottometteva alle leggi della morale, basate su molti passi della Bibbia ripresi anche dalla regolamentazione laica, era un escluso e un infame: il cittadino ideale era cristiano, osservante, maschio, abbiente e di reputazione integerrima. L'elenco degli esclusi è lungo, a cominciare dai ladri, dai violatori di luoghi sacri, dagli spergiuri ai calunniatori, fino a tutti i tipi di malfattori compresi i peccatori della carne come gli adulteri, che nel nord Europa venivano rasati a zero e frustati in pubblico; c'erano poi coloro che conducevano una vita errante (come gli attori), o che professavano mestieri disonesti come chi aveva a che fare col sangue (macellai e carnefici), la sporcizia (tintori), il denaro (usurai). Si fuggiva anche dagli ammalati come i pazzi e i lebbrosi (per “lebbra” si intendevano anche malattie della pelle come herpes, eritemi e altre infezioni cutanee) che non solo dovevano vivere lontano dai luoghi abitati, ma che erano obbligati a indossare un abito con cappuccio bianco e a far suonare la cosiddetta “raganella”, un aggeggio rumoroso che annunciava il loro arrivo permettendo alla gente di scappare.
Giotto, Il bacio di Giuda
Si considerava il contagio come un evento non solo fisico, ma anche psicologico: per sottolineare la marginalità furono quindi elaborati segni da portare addosso per marcare l'estromissione dal consorzio civile. Una serie di norme particolarmente feroci colpirono nel medioevo le prostitute: nel XIV secolo in alcune città italiane erano obbligate a portare un sonaglio attaccato al cappuccio, in altri posti erano vietati loro abiti lussuosi, che invece a Firenze erano permessi nell'improbabile speranza di accomunare al malcostume bottoni d'argento, tessuti preziosi, gioielli e di tenerne lontano le signore oneste. In Sicilia le donne di malaffare erano obbligate a calzare i tappini, un particolare tipo di zoccoli di legno da cui è derivato il nome “tappinara”, in dialetto meretrice. Idem dicasi per i ruffiani che a Padova erano obbligati a uscire con un cappuccio rosso in testa, pena una sonora battitura. In Francia, dove il pio e bigotto San Luigi aveva tentato invano di espellere le donne scostumate dal paese, esse furono costrette a portare un nastrino rosso che cadeva sulla spalla. Più che il colore rosso però il giallo era considerato fin dall'antichità simbolo di tradimento, truffa e malattia, e così Giotto dipinge il mantello di Giuda negli affreschi della cappella Scrovegni; a Firenze e Venezia le prostitute dovevano indossare elementi gialli collegati con l'abito, anche se quest'usanza cominciò a decadere man mano che il mestiere venne regolato e istituzionalizzato e i governi diventarono più tolleranti. Un esempio di tale indulgenza a Venezia è la nota vicenda del “Ponte delle tette” tuttora situato tra i sestieri di San Polo e Santa Croce: tutta la zona era un vero e proprio quartiere a luci rosse, luogo di adescamento delle “carampane” chiamate così dalla ricca famiglia dei Rampani, che – priva di eredi - aveva lasciato le sue case (ca' in dialetto) in eredità al governo. Le prostitute che lì esercitavano avevano ottenuto dalla Serenissima stessa il permesso di esporre il seno nudo per combattere la diffusione dell'omosessualità.
Roman de la Rose, Due amanti con coperta a righe

Un ulteriore carattere discriminatorio avevano le righe, specie quelle che alternavano tinte complementari come il rosso e il verde assieme al solito giallo, e quindi applicate – oltre e tanto per cambiare alle meretrici – anche a coloro che esercitavano lavori disonorevoli come i saltimbanchi, i giullari, i carnefici, i mugnai (considerati anche dalla novellistica furbi e arraffoni) e i fabbri, ritenuti – chissà perché – stregoni. L'input venne come al solito dal Levitico (19,19) che proibiva di indossare vestiti composti di materiali diversi. Quando poi nel Trecento e nel Quattrocento la moda si accese di un forte cromatismo che poteva confondere chi guardava, le vesti a strisce furono specialmente destinate all'uniforme della servitù, proprio perché reputata una categoria inferiore.
Il gruppo umano più perseguitato fu però quello degli ebrei, accusati dai padri della Chiesa di deicidio (cosa che sarà superata solo nel 1965 dal Concilio Vaticano II). Tutto era iniziato col Concilio di Nicea del 325 dopo Cristo, in cui si stabiliva che essi potevano continuare ad esistere se pur in stato di sottomissione e umiliazione. Successivamente fu un continuo crescendo, a cominciare dal divieto di sposarsi con cristiani, continuando con l'esclusione dalle cariche pubbliche, per poi passare al battesimo forzato, dopo il quale i convertiti subivano ancora moltissime restrizioni ed indicati con epiteti ingiuriosi come in Spagna, dove erano chiamati “marrani” (porci). In diversi casi furono cacciati dai paesi di residenza o massacrati con l'accusa di omicidio rituale di bambini. Il tutto alternato a periodi di relativa calma e stabilità, perché si trattava pur sempre di un popolo di grande cultura che assolveva a servizi cruciali come la traduzione e diffusione di testi arabi scientifici, la finanza, l'amministrazione e la medicina.
Les miracles de la Vierge, All’estrema destra un ebreo con la rotella
Nel 1215 papa Innocenzo III indisse il IV Concilio lateranense in cui tra l'altro si permetteva ai giudei di praticare come unici mestieri la vendita di abiti usati e il prestito di denaro, e gli si imponeva di indossare una marchio distintivo vivacemente colorato. Allo stesso modo si colpivano i musulmani che vivevano nei paesi cattolici, i quali a loro volta avevano imposto abiti che identificassero i non credenti nei territori a maggioranza islamica. Appellandosi alle sacre scritture Innocenzo III dichiarava esplicitamente che lo scopo della nuova legge era di evitare mescolanze sessuali “maledette” tra cristiani, giudei e saraceni. In Europa l'ordinanza papale non si diffuse immediatamente: da principio iniziò Inghilterra, a seguire gli altri regni, mentre in Italia il primo avamposto del nuovo razzismo fu la repubblica di Venezia. Regole più dettagliate circa il tipo di segno infamante variarono localmente, ma i due più diffusi furono la “rotella” e il cappello a punta detto alla latina “pileus cornutus”; la prima era una pezza di stoffa circolare a volte bicolore, a volte solamente gialla, che veniva cucita sul davanti dell'abito. Nella Serenissima la rotella fu una sorta di O della dimensione di un pane da quattro soldi, ma essendo piccola e facile da nascondere si passò al berretto dapprima giallo e dalla fine del Cinquecento in poi rosso.

Stemma di Judenburg, Austria
Il cappello a punta all'epoca del Concilio faceva già parte dell'abbigliamento maschile tradizionale ebraico portato comunemente dagli ortodossi; in origine era una variante del berretto frigio indossato in Persia dai sacerdoti di Mitra alcuni secoli prima di Cristo e diffusosi in seguito in Europa. Da noi era rappresentato nei manoscritti miniati come il Talmud ma anche nei testi sacri cristiani – lo si trova ad esempio sul capo di San Giuseppe - mentre in territorio tedesco compariva talvolta negli stemmi cittadini o nei blasoni, come a Judenburg, città austriaca il cui nome significa “Castello degli ebrei”, perché era un avamposto dei loro commerci. All'inizio il cappello a punta non era considerato un segno d'infamia, ma lo diventò quando fu introdotto l'obbligo di indossarlo. In parallelo si diffusero immagini antisemite con personaggi caratterizzati da un corpo sgraziato e un gran nasone, caratteristica che purtroppo è rimasta un topos nelle illustrazioni razziste fino ai tempi nostri.
Salterio di Bonne di Lussemburgo
con caricatura di ebreo
Tutto ciò – come ho detto all'inizio – fino alla Rivoluzione francese. Quando i nazisti obbligarono le popolazioni ebraiche dei territori occupati a cucire sugli abiti la Stella di Davide gialla a sei punte, non fecero altro che risuscitare un passato che ora si spera sia morto per sempre.


Fonti:
Rosita Levi Pisetzky, Storia del Costume in Italia, Istituto Editoriale Italiano
Michel Pastoureau, La stoffa del diavolo, Il melangolo
Bernhard Blumenkranz, Il Cappello a punta, Laterza
Giacomo Todeschini, Visibilmente crudeli, Il Mulino