domenica 26 maggio 2013

I secoli d'oro della parrucca

Anticamente la parrucca non aveva le connotazioni ridicole che molti oggi le attribuiscono, ma era un accessorio indossato fino dall’antico Egitto da uomini e donne, non necessariamente per compensare la perdita dei capelli, ma principalmente come segno di status. In Europa ebbe il suo massimo splendore nei secoli XVII e XVIII, quando trionfarono Barocco e Rococò: due stili fastosi e teatrali, in cui la parrucca – nella sua evidente finzione -  si trovava perfettamente a suo agio tra  stucchi, marmi e decorazioni.
La moda iniziò durante la Guerra dei Trent’anni, durata dal 1618 al 1648, che determinò un netto cambiamento del vestire maschile. A partire dagli anni Trenta del Seicento infatti, tutti gli uomini predilessero abiti in stile militaresco, portando con pose spavalde cinturoni, lunghe spade, pesanti stivali in cuoio. Trionfò la mascolinità bellicosa, e si voleva a tutti i costi esibire un rude aspetto guerresco, oltre che nel vestito anche nell’abbondante peluria, segno evidente di virilità. Parecchi aneddoti raccontano come la parrucca sia entrata nelle case reali e da qui abbracciata da quasi tutta la popolazione che - dati i costi -  se la poteva permettere; le parrucche più care erano infatti fabbricate con capelli veri, solitamente di contadine e meglio se biondi, mentre la gente più modesta doveva accontentarsi di peli di pecora e capra, crine di cavallo o coda di bue. 
Nel Seicento e nel Settecento la Francia era considerata il centro del buon gusto europeo e sembra che sia stato proprio un monarca francese, Luigi XIII, a favorire l'uso delle parrucche per nascondere la precoce calvizie causata da una malattia. Il suo successore Luigi XIV, il Re Sole (1638 – 1715) portò quest’accessorio alla sua apoteosi. Nel 1655 il sovrano concesse la licenza di aprire bottega a 48 fabbricanti parigini di parrucche, che entro qualche anno cambiarono denominazione professionale: da volgari “parruccai”, diventarono eleganti “coiffeur”. Questa categoria fu fra l’altro una delle poche a salvarsi  dal Terrore durante la Rivoluzione francese. Lo Huizinga, nel suo "Homo ludens", definisce giustamente la parrucca come "la cosa più barocca di tutto il barocco".  Da semplice accessorio per coprire la perdita di capelli, essa si trasformò in una monumentale torre di riccioli, con due bande che scendevano sul torace e un’altra dietro la schiena. Il peso eccessivo la rendeva molto scomoda da indossare, per cui la si portava solo a corte, mentre nel privato di preferiva indossare una ben più comoda berretta. La circonferenza della parrucca impediva l’uso del cappello, che si metteva semplicemente sotto braccio; altra bizzarria era la "linda" ossia una frangetta di capelli naturali e di colore diverso, che spuntava sulla fronte. Tuttavia oltre agli svantaggi, essa aveva vantaggi fisici e soprattutto psicologici non trascurabili: indossata sul cranio rasato, favoriva una maggior pulizia in un’epoca in cui pullulavano cimici e pidocchi. Inoltre rialzando la statura, dava alla figura maschile un senso di imponenza regale che aumentava il prestigio dell’individuo. Di colore nero all'inizio, verso la fine del Seicento diventò bianca e fu cosparsa di cipria. 
Al suo apparire in Italia la parrucca sollevò polemiche e discussioni e causò l'intervento della legge: di ritorno da un’ambasceria a Parigi, il veneziano Conte Scipione Vinciguerra di Collalto, la esibì per primo durante una passeggiata sul liston, in piazza San Marco. Ma la rivoluzionaria novità non piacque al Gran consiglio, che nel 1688, si affrettò a proibirne l’uso a tutti i magistrati nel pieno delle loro funzioni pubbliche. Il doge Erizzo invece, giunse al punto di diseredare suo figlio che aveva osato indossarla.
Durante il Settecento fino alla Rivoluzione francese, la moda della parrucca continuò a contagiare gli uomini e successivamente le  donne e i bambini. Chi poteva permettersi il parrucchiere personale era esigentissimo: Vittorio Alfieri racconta di aver lanciato un candeliere contro il domestico che gli aveva inavvertitamente tirato una ciocca di capelli.  Particolarità del periodo fu l’uso pressoché universale di imbiancarla cospargendola di cipria solitamente composta di polvere di riso. Un servitore la soffiava sul paziente in un apposito stanzino polverizzandola con un piccolo mantice, mentre il volto e il corpo erano protetti con un accappatoio e un cono che copriva la faccia. Oltre al riso si usavano l’amido mescolato con polvere profumata, e per quelli che non se lo potevano permettere, calcina, gesso, legno tarlato, osso bruciato, il tutto passato con cura al setaccio. Il principe Francesco I di Modena invece, si faceva spruzzare polvere d’oro in testa.
L'uso della parrucca diventò generale, al punto che non fu più possibile vietarla, mentre a Venezia gli Inquisitori, non potendo proibirla, cominciarono a tassarla.
Più frequente per l’uomo che per la donna, la parrucca serviva a coprire teste pelate vuoi dall'età, vuoi da qualche malattia che causava la caduta dei capelli come il vaiolo, allora piuttosto diffuso. Nel primo ventennio del Settecento si portarono ancora i parrucconi lanciati da Luigi XIV; in seguito la parrucca si ridusse, e fu fondamentale portarla dello stesso colore delle ciglia. Nel 1730 si diffuse la “parrucca a groppi”, che terminava con due nodini di capelli. Tuttavia la tipica parrucca maschile settecentesca, di moda soprattutto verso la metà del secolo aveva un ciuffo alto e arricciato sulla fronte, riccioli sulle orecchie e un codino avvolto in un sacchetto di seta nera. Ma i modelli erano molti di più e furono illustrati nelle enciclopedie per pettinarsi. I capelli erano impomatati, e poi arricciati con una specie di permanente avanti lettera, bolliti e infine cuciti a una reticella e fermati da nastri nascosti. I parrucchieri, che facevano anche i barbieri, avevano botteghe elegantissime piene di specchi e dorature. Andare dal parrucchiere alla moda diventò sinonimo di eleganza: Monsieur Galibert, soprannominato “Il sultano” aveva il negozio in piazza San Marco, con numerosi aiutanti e garzoni, e si faceva pagar salato.
Attorno al 1780 si cambiò modello, introducendo due rigidi boccoli laterali; infine le acconciature si portarono molto gonfie e spolverate con cipria grigia.
Le donne si accostarono a questo accessorio con un certo ritardo. Una sera Leonard, il parrucchiere personale di Maria Antonietta d’Austria, moglie di Luigi XVI di Borbone e re di Francia, acconciò la regina con capelli rialzati artificiosamente più di mezzo metro sul capo, frammischiandoli con sciarpe di velo. Questa acconciatura, detta pouf o tuppè, fu di moda dal 1770 per circa 10 anni. Le donne europee impazzirono per la nuova foggia: Carolina Maria d’Austria, regina di Napoli, chiese ed ottenne che Leonard venisse di persona, nella convinzioni che i parrucchieri della città non possedessero la sua abilità.  Il tuppè era una vera e propria parrucca, fatta solo in parte coi propri capelli;  aveva un’armatura nascosta di filo metallico ed era imbottito da un cuscinetto di crine. Era scomodo e malsano, sia perché portato su capelli non lavati ma tenuti in piega da oli e pomate profumati, sia perché attirava inevitabilmente ogni tipo di parassita. Ma l’aspetto più sconcertante erano le incredibili decorazioni che vi venivano appoggiate sopra. La fantasia non aveva limiti: palme, pappagalli, ghirlande d’amore, scale a chiocciola di pietre preziose, navi con le vele al vento spiegate (à la belle poule). Nomi e nomignoli francesi distinguevano i diversi modelli: à la monte du ciel, di altezza vertiginosa, alla cancelliera, alla flora, piena di fiori, al vezzo di perle (ovviamente circondata da giri di perle) à la Turque, à le Figaro, à piramide. Famosi erano i "pouf au sentiment", letteralmente "sgabello dei sentimenti" in cui la parrucca, considerata come una sorta di altarino, in cui si metteva in mostra ciò che si amava: così chi si sentiva vicino alla natura poneva sulla testa fiori, piante frutta e animaletti imbalsamati, chi pensava alla famiglia sfoggiava i ritratti del marito e dei figli, chi era legato alla patria esponeva orgogliosamente coccarde tricolori. 
L’acconciatura fu studiata per meravigliare gli altri, sfruttando persino la cronaca del giorno e la manifestazione dei propri sentimenti pur di attrarre teatralmente l’attenzione. Per fare un esempio, quando i fratelli Montgolfier nel 1783 alzarono per la prima volta su Parigi il primo pallone aerostatico, la moda inventò la “parrucca alla mongolfiera”. Nel frattempo l’altezza di queste curiose acconciature aumentò sempre di più, fino a raggiungere il metro, al punto che si diceva che una signora alla moda non riuscisse ad entrare in carrozza se non in ginocchio. La satira e le caricature fiorirono e un disegnatore rappresentò una dama con una parrucca talmente alta che era necessario sorreggerla con una sorta di forcone di legno.
I parrucchieri ovviamente beneficiarono della moda del tuppè. Particolarmente apprezzati erano quelli francesi, in Italia chiamati “Monsù”, da “Monsieur”, il fratello del re di Francia. Solitamente uomini, frequentavano anche le abitazioni ed erano ammessi nella stanza più intima della signora, il boudoir. Venivano quindi a conoscenza di tutti i segreti e i pettegolezzi, e non di rado facevano da  tramite a tresche amorose. Oltre ai parrucchieri c’erano anche le pettinatrici, dette a Venezia "conzateste", seppur di minore importanza dei loro colleghi maschi. 
Con la Rivoluzione francese, la parrucca scomparve, almeno in Francia. Era uno dei simboli dell'odiata aristocrazia, e uscire coi capelli incipriati era rischioso, perché si poteva finire sulla ghigliottina. Nel resto d'Europa rimase ancora per poco tempo, per trasferirsi poi sulla testa dei valletti. Solo i reazionari più accaniti continuarono a portarla, guadagnandosi il soprannome di "codino".


Bibliografia:
Rosita Levi Pizetsky: Storia del costume in Italia, Volume IV, Istituto editoriale italiano, Milano, 1967
Massimo e Costanza Baldini: L’arte della coiffure, i parrucchieri, la moda, i pittori, Ed. Armando, Roma 2006

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