mercoledì 30 maggio 2012

Dalla maggiorata fisica alla donna stecchino

Gran parte dell’evoluzione estetica del corpo femminile durante il Novecento la si deve all’influenza del cinema. Lo star sistem di Hollywood aveva lanciato dagli anni Venti ai Quaranta attrici come Greta Garbo o Marlene Dietrich, donne slanciate, dalla pelle chiara, e molto sofisticate. L’altera bellezza di Greta Garbo  e la bionda e sensuale avvenenza di Marlene con le sue ciglia rasate e il suo portamento a tratti dolce e a tratti spavaldo erano state imitate dalle donne di mezzo mondo.
Il cinema italiano, affermatosi soprattutto nel dopoguerra con il Neorealismo, diede una versione nostrana del divismo femminile. Negli anni Cinquanta partendo dal concorso di miss Italia, alcune vincitrici o concorrenti molto formose approdarono al mondo del cinema diventando star internazionali e proponendo il mito della donna latina: Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Sofia Loren, Lucia Bosè, Silvana Pampanini, solo per citare le più famose, avevano forme prorompenti, fianchi e seno abbondanti, vita sottile.  Fu Vittorio De Sica  che nell’episodio “Il processo di Frine”, del film  “Altri tempi” (1952) in una memorabile arringa nella parte di avvocato difensore delle grazie di una popolana, Gina Lollobrigida,  inventò il termine proverbiale di maggiorata fisica, sostituendolo con quello di “minorata psichica” con cui la stessa era stata definita. Nel film “Riso amaro” (1949) la Mangano, poi passata a ruoli più sofisticati, interpretava la parte di una mondina bella ed aggressiva, mentre la Loren, arrivata al successo qualche anno più tardi, con “L’oro di Napoli” (1953) proponeva l’immagine di una provocante pizzaiola napoletana. Allo scadere del decennio Federico Fellini nel suo celeberrimo “La dolce vita” dette una versione poetica e per molti scandalosa della maggiorata, immortalando Anita Ekberg mentre si bagnava nella Fontana di Trevi.
Nello stesso tempo gli Stati Uniti lanciarono una nuova sex symbol, Marilyn Monroe  che dal 1953 fino alla sua morte diventò una delle più famose star del mondo, restando sempre all’interno di ruoli di oca bionda. Tuttora la star è ancora un’icona cult della bellezza e della sensualità. La seguì a ruota Jayne Mansfield, che non ebbe tuttavia lo stesso successo; dotata di un seno prorompente l’attrice cercava in ogni modo di mostrarlo “casualmente” facendosi aiutare da fotografi e paparazzi. A queste donne era richiesto di essere solo belle e provocante, con abiti ammiccanti, gambe scoperte, vesti scollate e tacchi alti.
Dalla fine degli anni Cinquanta il cinema francese si accorse che le nuove generazioni stavano cambiando: un diverso modo di pensare, di leggere, di vivere designato dai giornali come “Nouvelle Vague” presentava giovani sinceri, disinvolti, inquieti.  Il tipo estetico femminile non poteva più essere solo quello della donna oca:  così nel 1956 Roger Vadim propose la moglie  Brigitte Bardot nel l film “E Dio creò la donna” che ebbe un successo strepitoso.In the same year she married Roger Vadim. A differenza degli anni Cinquanta dove, almeno in Italia, la bellezza prorompente delle attrici si accompagnava solo a timidissime allusioni erotiche, Brigitte presentò un personaggio  insolente, sensuale, ribelle, senza alcuna vergogna di mostrare il suo splendido corpo: la sua acconciatura spettinata e la lunga e bionda coda di cavallo furono copiate dalle ragazzine di mezzo mondo. Il broncio scostante e l’atteggiamento indipendente, anticipavano la libertà sessuale che sarebbe stata una delle conquiste degli anni Sessanta.  Una versione italiana e molto più casta della Bardot fu fornita da Marisa Allasio che nel film “Poveri ma belli” (1956) interpretava il ruolo di una bellissima ragazza tutta curve ma dalla moralità ineccepibile.
Nello stesso periodo quasi ad anticipare gli anni Sessanta, fece la sua comparsa un’attrice dal fisico completamente diverso: la  magrissima Audrey Hepburn. Nel 1952 debuttò in “Vacanze romane” dove recitava assieme a Gregory Peck. Dotata di fascino e grande talento ebbe un enorme successo e diventò ben presto un'icona dello stile, anche perché la sua figura ben si prestava ad indossare ogni tipo di abito. In seguito il suo guardaroba venne affidato allo stilista francese Givenchy che sarebbe diventato suo amico e couturier personale, creando per lei indimenticabili toilettes  come quelle del film “Colazione da Tiffany”(1961). L’inquietudine degli anni Sessanta con la protesta giovanile contro la società borghese, la famiglia tradizionale, il mondo capitalista e la guerra del Vietnam sfociò in una contestazione generalizzata che si riorganizzò in nuovi gruppi di opinione come il movimento hippy, il femminismo, il movimento omosessuale. Le nuove icone femminili si riferivano ormai a corpi snelli e non maturi, a gambe sottili, a fisici quasi androgini: la diffusione della moda giovane caratteristica del periodo, portò alla ribalta indossatrici e ragazze copertina “reinventate” dai fotografi di moda. Queste ragazze erano incredibilmente magre e pallide come zombies, anche grazie al trucco che ne sottolineava  pesantemente gli occhi ed evitava l’uso del rossetto. La più famosa tra tutte fu Twiggy (legnetto) al secolo Lesley Hornsby una ragazza inglese alta 1 metro e 65 cm.  che pesava 43 chili.  Era il tipo ideale per indossare la minigonna che  negli stessi anni era stata lanciata da Mary Quant. Seguirono un’altra modella inglese, Jean Shrimpton soprannominata “Shrimp” (scricciolo) e, tra le altre Penelope Tree.
Questa ragazza non bella fu scoperta a soli 13 anni dalla fotografa Diane Arbous e, nonostante il parere contrario dei genitori, a 17 anni fui presentata all’editor di Vogue Diana Vreeland. Fu fotografata dal grande Richard Avedon, che vedeva in lei una strana bellezza nonostante l’opposizione di alcuni redattori della rivista, che la consideravano goffa. Penelope aveva occhi immensi e un aspetto non convenzionale, sottolineato anche dal fatto che davanti alla macchina fotografica non sorrideva mai. Più tardi ammise di essere stata anoressica. La sua carriera terminò a 21 anni per una grave malattia della pelle che le lasciò grvi cicatrici sul volto. Queste modelle erano tra l’altro le icone della Swinging London termine che indicava le tendenze culturali che si svilupparono in Gran Bretagna negli anni Sessanta, non esclusa la musica pop i cui simboli principali furono i Beatles, i Rollig Stone e gli Who.
Tuttavia la prima top-model della storia fu Vera von Lehndorff (1939) nota con lo pseudonimo di Verushka.  Di origine tedesca e altissima (1,85 cm.) si affermò come una delle più importanti e delle più pagate modelle del periodo grazie al fotografo Ugo Mulas  che la scoprì nel 1959, e in seguito al fidanzato-fotografo Franco Rubartelli, che la immortalò in alcune delle sue foto più belle. Ha posato per più di 800 cover. Parlando di sé stessa dichiarò che si era sempre sentita bruttissima e si vergognava dei piedi taglia 44; per poter calzare scarpe da donna si sarebbe fatta ridurre l’alluce.  Si ritirò nel  1975 per dedicarsi alla body art e alla pittura.
Le indossatrici  inaugurarono uno stile di femminilità assolutamente nuovo nella storia, sfoggiando gambe da cicogna e imponendo per la prima volta la magrezza come valore estetico. Dietro di loro c’era il business della moda che tentava di catturare le giovani generazioni che stavano diventando più esili degli adulti, sia per la vita sportiva, sia per il nuovo tipo di alimentazione.


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