sabato 11 febbraio 2012

Bronzino e i costumi del Rinascimento fiorentino

Nella prima metà del Cinquecento era ormai finita la politica di equilibrio tra stati italiani ed era  iniziato un lungo periodo di conflitti tra potenze europee che vide vittoriosa la Spagna, sotto il cui governo l’Italia rimase fino al 1714. L’accenno storico non è casuale: l’egemonia di una nazione sull’altra ha riflessi anche sulla moda del paese sconfitto che tende ad adottare le fogge del vincitore. La moda spagnola cominciò a diffondersi in Italia con alcune caratteristiche sostanziali: l’uso del nero, e il progressivo irrigidimento degli abiti tramite busti e sottogonne a campana. Per lo stesso motivo le scollature, che nel pieno Rinascimento erano molto generose, cominciarono a velarsi fino a chiudersi del tutto verso la fine del Cinquecento. La fissità della figura tramite l’abito corrispondeva a precisi intenti di gerarchizzazione all’interno della superba nobiltà spagnola che aveva abbracciato totalmente la religione cattolica, ritenendosi un baluardo contro le pretese riformistiche che provenivano da Martin Lutero. Forse per questo motivo le vesti diventarono più caste, mentre il colore nero dimostrava un’adesione a principi di rigore morale che il Rinascimento aveva in parte abbandonato.
Il passaggio fu tuttavia graduale e durante la prima metà del secolo il costume italiano, che era stato al centro della moda europea, continuò ad evidenziare classe, equilibrio ed eleganza di particolari. In quest’ambito si colloca l’opera di Agnolo Bronzino, che ci ha lasciato nei suoi ritratti dalle linee e dai colori cristallini una preziosa testimonianza delle mode dell’epoca. Agnolo Bronzino, al secolo Agnolo di Cosimo Mariano (1503 – 1572) era figlio di un macellaio, ma riuscì tuttavia a diventare uno dei più importanti pittori italiani del suo periodo. Giunto a Firenze, allora assieme a Venezia e Roma il più importante centro dell’arte italiana, fece alcuni anni di apprendistato per poi diventare indipendente. Dopo il 1531 fu a Pesaro presso la famiglia della Rovere e dal 1539 fu chiamato alla corte di Cosimo I dei Medici a Firenze.
Alcune delle sue opere più note evidenziano l’altera ricchezza dei costumi di corte. Il ritratto di Lucrezia Panciatichi del 1540 circa mostra come la moda si fosse indirizzata verso forme più allargate di quelle quattrocentesche. La bellissima nobildonna, dalla pelle e le mani color porcellana, ha i capelli raccolti come voleva l’usanza per le donne maritate. Lo splendido abito di seta rossa dalle maniche accartocciate ha il busto irrigidito e non conformato alla linea del seno, con la scollatura velata e una ricca catena in oro con targhette su cui è scritto “Amour dure sans fin”. La cintura in pietre dure (lavorazione tipicamente fiorentina) pendeva davanti alla gonna quando Lucrezia stava in piedi. La camicia sbuca dai polsi con leggere arricciature, che al tempo erano chiamate “lattughe”. Il ritratto irrigidito in un’immobilità senza tempo, si adegua ai canoni di bellezza ed equilibrio descritti da Agnolo Fiorenzuola nel suo “Dialogo delle bellezze delle donne”. Pendant di questo quadro è il ritratto di Bartolomeo Panciatichi, marito di Lucrezia e al servizio di Cosimo I de’ Medici. Anch’egli è fissato in posa ieratica in un interno che rimanda all’architettura fiorentina del periodo. Bartolomeo ha un cappello a falde non larghe e una lunga barba ramata: i peli facciali erano per quel tempo un attributo indispensabile della virilità. L’abito si compone di una veste o “saio” nero, probabilmente lunga fino a metà coscia, e di un giuppone rosso (una giubba) sottostante. Entrambi hanno le maniche tagliate: questa moda, adottata anche dalle donne, distruggeva metri di stoffa preziosa che non poteva più essere recuperata.
Un altro famosissimo ritratto del Bronzino è quello di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo de’ Medici seduta con orgoglio vicino al piccolo Giovanni, uno degli otto figli che darà al granduca e che sarà indirizzato alla carriera ecclesiastica. La gentildonna indossa una veste o “camora” dai superbi ornamenti e cosparsa se pur discretamente di gioielli, in special modo perle. Rispetto al ritratto di Lucrezia le maniche si sono ridotte abolendo i rigonfi e terminando con “spallini”: la scollatura è velata da una rete, mentre il tessuto si dispiega con un magnifico motivo rinascimentale in oro  broccato in forma di melagrana circondato da elaborati intrecci neri. Quest’abito, riesumato nell’Ottocento dalla tomba della duchessa, fu esposto anni fa in una mostra.
Uno dei più carismatici ritratti del Bronzino è infine quello della figlia illegittima del Granduca, Bia (1542 circa) una bimba di circa cinque anni morta prematuramente. Il ritratto offre lo spunto per una considerazione sull’abbigliamento infantile di epoca antica: l’infanzia non era riconosciuta come una condizione separata dall’età adulta e i bimbi erano educati e vestiti come i grandi. La piccola, che probabilmente ha un bustino, siede frontalmente su una sedia e solo le guance rosse e le labbra appena dischiuse in un sorriso ne rendono la freschezza dell’età. Elegantissima in un prezioso abito di seta bianco, è ingioiellata come una dama e porta al collo un medaglione aureo col profilo di Cosimo, evidente legame d’affetto che legava padre e figlia.

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