Le calzature sono antiche come la storia dell’uomo, tuttavia la loro forma e il loro uso sono stati condizionati per millenni, almeno per quanto riguarda le donne, dal fatto di scomparire sotto la lunghezza delle sottane. Solo a partire dal Ventesimo secolo, in parte grazie alle innovazioni tecniche e alla meccanizzazione, ma soprattutto a seguito del progressivo accorciamento delle gonne, le scarpe femminili conobbero un’importanza sconosciuta nei secoli precedenti, diventando un vero e proprio oggetto di desiderio e di culto. Dopo il che dal 1910 Paul Poiret lanciò la sua famosa “linea impero” che liberava la donna dal busto ed evidenziava la punta delle scarpe, gli abiti femminili cominciarono lentamente a mostrare le gambe fino alla schioccante moda dell’orlo al ginocchio negli anni Venti. E’ appunto a partire da questo periodo che gli stilisti della scarpa sostituirono gli anonimi piccoli calzolai.
Tra i primi di loro ci fu André Perugia (1893 – 1977) nato a Nizza da padre italiano e che giovanissimo seguì con particolare abilità la professione paterna di calzolaio. La moglie del proprietario del Negresco, uno degli alberghi di lusso della cittadina, gli propose di aprire una piccola vetrina dove lui iniziò a mostrare le sue creazioni con prezzi che già da allora erano fuori mercato. La sua filosofia era che le donne che frequentavano simili hotel potevano permettersi di spendere centinaia di franchi per un paio di scarpe. Si dimostrò un vero e proprio pioniere della scarpa: era convinto che per svelare la personalità di una donna fosse necessario studiare a fondo i suoi piedi. Notato da Poiret, fu introdotto dal famoso couturier presso la società parigina e nel 1921 aprì la sua prima boutique in Faubourg St. Honoré, la strada più elegante della capitale.
Durante la prima guerra mondiale aveva dovuto lavorare presso una fabbrica di aerei, ed aveva studiato soluzioni ingegneristiche che gli permisero in seguito di realizzare scarpe dalla linea curiosa e aerodinamica: non a caso dichiarò in seguito che “un paio di scarpe devono essere perfette come un’equazione e adeguate al millimetro come un pezzo di motore” e cercò sempre di trovare una connessione ideale tra scarpe, tacco e peso del corpo. Con queste idee, supportate da estro e fantasia, Perugia diventò ben presto il calzolaio di dive famose, come Josephine Baker, Mistinguette, regina del vaudeville francese famosa per le sue splendide gambe, o l’attrice cinematografica Pola Negri; in seguito lavorò anche per Hollywood. Collezionista di opere d’arte moderna, non di rado si ispirò alle nuove avanguardie: famose le sue calzature “a pesce” omaggio al George Braque, pittore cubista francese, o quelle che ricordavano la colomba della pace di Picasso e che sembravano librarsi in aria. Né trascurò creazioni originalissime con tacchi sferici o a spirale in metallo.
Salvatore Ferragamo (1898 – 1960) era nato a Bonito, in provincia di Avellino ed aveva cominciato giovanissimo facendo scarpe per le sorelle. Dopo aver fatto pratica a Napoli tornò al paese di origine per aprirvi un piccolo negozio, ma già nel 1914 partì per l’America dove terminò la sua formazione lavorando per un calzaturificio e studiando anatomia presso l’Università della California. Spostatosi nel 1923 ad Hollywood riuscì a guadagnarsi il nome di “calzolaio delle stelle” creando scarpe per colossal biblici come “I dieci comandamenti” di Cecil de Mille e servendo in seguito le grandi case di produzione; attori famosi come John Barrymore, Rodolfo Valentino, Lillian Gish o Mary Pickford indossarono scarpe Ferragamo.
Molto apprezzato anche fuori dai circuiti cinematografici ma insoddisfatto della manodopera americana, Ferragamo fece ritorno in Italia e precisamente a Firenze, dove esisteva da secoli un’importante tradizione manifatturiera del pellame. Nel suo nuovo laboratorio applicò sistemi di catena di montaggio pur rigorosamente manuale. Dopo un periodo di grosse difficoltà materiali, si risollevò durante gli anni Trenta. La crisi della seconda Guerra mondiale lungi dal farlo fallire lo spinse di nuovo alla ribalta: il divieto dell’uso di cuoio e di pellami, destinati all’industria bellica, lo spinsero a ricorrere a materiali innovativi come la rafia, il cellophane, la tela, il fili metallici, il legno e le resine sintetiche. Convinto che le scarpe oltre che essere belle dovessero anche essere comode, inserì nella soletta un supporto in acciaio; tuttavia la guerra di Abissinia ne bloccò la disponibilità: fu allora che Ferragamo inventò la famosa zeppa in sughero, che finirà per caratterizzare la maggior parte delle scarpe degli anni Quaranta. La zeppa poteva avere anche tacco rientrante, ribattezzato ad “Effe” che fu brevettato.
Fantasioso, a volte visionario, Ferragamo conobbe il successo mondiale solo nel dopoguerra in cui creò pezzi indimenticabili che si inserivano perfettamente nella voglia di vivere del boom economico: scarpe per celebrità come Greta Garbo, Sophia Loren, Anna Magnani, i duchi di Windsor, tacchi a spillo rinforzati in metallo per Marylin Monroe, sandali in oro, scarpe per turisti facoltosi. I sandali invisibili con tomaia in filo di nylon che nel 1947 gli varranno l’Oscar della Moda. Altra sua famosa invenzione furono nel 1957 le “Ballerine” senza tacco e dalla punta arrotondata, ispirate alle danzatrici classiche e portate da attrici come Audrey Hepburn e Brigitte Bardot.
Dopo la sua morte l’azienda, portata avanti da figli e nipoti, si trova tuttora a Firenze nel palazzo Spini e Feroni a cui è annesso il Museo Ferragamo.
Roger Vivier (1907 – 1998) aveva studiato presso l’Ecole des beaux arts di Parigi diventando poi apprendista in una fabbrica di calzature. In seguito la sua formazione artistica fu alla base della sua carriera di stilista. Già disegnatore di scarpe riconosciuto, negli anni Trenta collaborò con Elsa Schiaparelli inventando un modello ortopedico con la suola di sughero. Dopo la guerra, periodo in cui la sua attività si indirizzò verso la modisteria, collaborò dal 1953 al 1963 con Christian Dior. Il lusso che il couturier profondeva nei suoi abiti era in sintonia con la fantasia di Viver. Anche se non è certo che sia stato lui ad inventare il tacco a spillo, certamente lo applicò alle ultrafemminili collezioni presentate con Dior, inserendovi all’interno una punta di metallo; ancora per la Maison disegnò un originale tacco a virgola. Guardando alla storia della moda ma senza dimenticare le innovazioni della tecnica creò prototipi stravaganti e barocchi, tanto da procurargli il soprannome di “Fragonard della scarpa”: si immaginava le calzature come sculture su cui poi applicava seta, perle, pizzi o addirittura gioielli. Vivier incontrò il top della notorietà quando Elisabetta II d’Inghilterra gli fece fare nel 1953 per il giorno della sua incoronazione, scarpe in capretto d’oro cosparso di granati. A lui si rivolsero attrici famose come Marlene Dietrich ed Elizabeth Taylor, ma anche Regine e donne importanti come Farah Diba, la Duchessa di Windsor, Jackie Kennedy, Imelda Marcos. Né rifiutò di creare scarpe da uomo come quelle che più tardi inventò per i Beatles come le stravaganti scarpe di John Lennon, col tacco decorato in diamanti o gli stivali rossi per Rudolph Nureyev. Tuttavia Vivier rimase fondamentalmente un stilista per donna.
La sua attività proseguì negli anni Sessanta con le famose e copiatissime scarpe dotate di ampia fibbia quadrata, ispirate a quelle dei pellegrini puritani e indossate da Catherine Deneuve nel film “Bella di giorno”. Con la moda degli stivali scoppiata con la minigonna, riuscì ad applicare paillette e perline anche a questo tipo di calzature. Nello stesso periodo aveva iniziato a collaborare con Yves Saint Laurent con cui lavorò fino al 1970. Nel 1972 si ritirò dal mondo della moda. Il suo marchio però continuò a vivere sotto la direzione creativa di Bruno Frisoni. Per Frisoni le scarpe sono “come gioielli per i piedi. Si tratta di un lusso sottile e potente. Sexy ma mai appariscenti. La scarpa è un accessorio di seduzione. La seduzione è la parola d’ordine dei miei disegni per Roger Vivier”.
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