Prima del tacco era la zeppa. Il proverbio “altezza è
mezza bellezza” doveva essere condiviso anche dai popoli antichi che – molto
prima delle moderne indagini statistiche – avevano capito come le persone alte fossero
dotate di un sex-appeal maggiore di quelle di statura medio-bassa. Non sappiamo
quale antico artigiano abbia inventato i rialzi sotto la suola delle scarpe, ma
già nella Grecia classica facevano parte del guardaroba degli attori e delle
etere: i costosi trampoli colorati e dorati di queste ultime erano a volte muniti
di suole chiodate che imprimevano sul terreno scritte provocanti del tipo:
“seguimi”. L’andatura traballante che le donne assumevano in cima a queste
scarpe costituiva già da allora un richiamo erotico, al punto che verso la fine
dell’Impero romano San Girolamo condannò le zeppe delle matrone non solo per la
loro frivolezza estetica, ma anche per la loro peccaminosa capacità di
attrazione fatale.
Dopo un’eclisse che durò per tutto il medioevo, le zeppe
risorsero nella Venezia del rinascimento come vertiginose pantofole alte fino a
un braccio, costringendo le signore a camminare appoggiandosi a due cameriere
per non volare per terra o ancor peggio in un canale; di probabile origine medio
orientale, queste pianelle derivavano forse dagli altissimi zoccoli usati dalle
donne per non scottarsi i piedi nei bagni turchi.
Inutile dire che le europee
li adottarono in massa, prima fra tutte la piccolissima Caterina de’ Medici,
che per il suo matrimonio con Enrico II di Francia ne sfoggiò un paio ben
nascosti sotto le vesti lunghe.
Il passaggio dalla zeppa al tacco nacque però da
un’iniziativa maschile. Calzature da uomo di questo tipo erano note da secoli
in Medio Oriente, dove erano usate dagli arcieri a cavallo perché permettevano
di ancorare meglio il corpo alle staffe, girarsi agevolmente e scoccare la freccia
in modo efficace. I tacchi alti vennero introdotti in Occidente attraverso i rapporti
diplomatici e mercantili con l’Europa, ma chi li promosse definitivamente fu
Luigi XIV di Francia che per rimediare alla bassa statura non solo li volle
indossare, ma li impose ai membri della sua corte tingendoli di rosso e
decorandoli con scene di battaglie.
Le scarpe col tacco facevano molto macho e davano
all’uomo un’aria marziale; dal momento che per la loro scomodità non potevano
essere portate da lavoratori e contadini, diventarono simbolo di status sociale,
dimostrando in modo visibile che chi li indossava apparteneva alla classe
privilegiata dei ricchi nulla-facenti. Le signore dell’aristocrazia non vollero
essere da meno dei loro compagni e se ne appropriarono, mostrando un eccitante
piedino da fata che spuntava dalla gonna: le estremità piccole piacevano, come
dimostra anche la fiaba di Cenerentola importata in Europa dalla Cina proprio
in questo periodo.
Nel Settecento,
secolo di Cagliostro, Casanova e De Sade, nacque il termine “feticismo”,
l’attrazione sessuale per una parte del corpo del partner o per un oggetto di
sua proprietà: fu descritto per la prima volta da Restif de la Bretonne che si
innamorò delle estremità di Franchette, moglie del suo capo, masturbandosi nelle
scarpe alte di lei. Una volta entrato nell’immaginario erotico maschile il
tacco da donna ci rimase: nell’Ottocento le nuove tecnologie ne aiutarono la
diffusione attraverso le fotografie osé che
ritraevano prostitute vittoriane in mutandoni bianchi ma con calze e stivaletti
neri abbottonati fino al polpaccio.
Col Novecento le sottane si accorciarono e il tacco
alto ora visibile diventò ancor più espressione di femminilità condita da una
punta di trasgressione: dalla garçonne degli anni Venti con le gonne cortissime
e i tacchetti audaci, si passò alla pin-up procace degli anni Trenta-Quaranta,
vestita il minimo indispensabile ma con le inevitabili scarpe col tacco; dal
dopoguerra si volatilizzarono anche gli
ultimi scampoli di tessuto e giornali come Playboy fecero entrare nella cultura
di massa immagini di belle ragazze nude con provocanti scarpe vertiginose. Restava
però un problema tecnico: i tacchi antichi erano fatti in legno e la loro
struttura massiccia non poteva essere né rialzata né assottigliata più di tanto
perché avrebbero corso il rischio di spezzarsi. Il lampo di genio risolutore venne a Roger Vivier, un raffinato artigiano che
collaborava con Christian Dior, e che introdusse nel tacco una sottile asta
d’acciaio aumentandone la tenuta e la resistenza e permettendo di portarlo fino
a 12 centimetri: erano nati i tacchi a spillo, ribattezzati “stiletto” dalla
rivista Vogue.
Oltre a Vivier altri
artisti della calzatura cercarono di renderla più alta e leggera utilizzando
materiali ultramoderni come la plastica e l’alluminio: André Perugia – che
durante la prima guerra mondiale aveva lavorato presso una fabbrica di aerei,
cercò di trovare un’equazione “perfetta e adeguata al millimetro come un pezzo
di motore” tra scarpe, tacco e peso del corpo, inventando originalissimi
modelli con tacchi sferici o a spirale. Un’altra instancabile sperimentatrice di forme e materiali fu
l’americana Beth Levine. A lei si deve il perfezionamento delle
ciabattine con tacco a spillo, particolarmente difficili da portare perché, non
essendo assicurate al piede da una stringa, volavano via con molta facilità:
nacque così il modello “Topless”, un’alta suola imbottita che veniva fissata
alla pianta con una colla speciale in modo che il tacco sembrasse un’estensione
del tallone.
Negli anni Sessanta e Settanta la rivoluzione giovanile
e il movimento di liberazione della donna misero in crisi i tacchi alti; il
ritorno alla natura degli Hippy muniti di sandali o addirittura coi piedi
scalzi o e il rifiuto della donna oggetto da parte del movimento femminista, non
potevano accordarsi con l’ ideale maschilista della ragazza piena di curve e
inibita dai trampoli.
Avanzava lo “street style”, il look che veniva creato in
strada, che ha definitivamente rivoluzionato
il concetto stesso di moda come fenomeno controllato esclusivamente dall’alto.
Il tacco fu affiancato dalle ballerine, dalle sneakers, perfino dai sandali
unisex Birkenstok; il gusto della gente poté liberarsi e la scarpa – alta o
bassa - diventò l’espressione della personalità di chi la indossa. Dagli anni
Ottanta fino ad oggi il tacco alto ha comunque mantenuto il suo status di
oggetto erotico, pur arricchendosi di ulteriori significati. Dall’America si
impose la nuova cultura urbana del giovane professionista rampante, lo Yuppie,
il cui abito doveva essere tagliato per il successo.
Per sembrare aggressive e
sicure le ragazze si vestirono con sobri completi mascolini inalberando vertiginosi
tacchi a spillo da predatrice senza complessi. Nel frattempo si è scoperto che
i tacchi rialzano il posteriore in modo provocante, aumentandone la curvatura
del 25 %. Stilisti come Manolo Blahnik e Christian Louboutin hanno fatto
diventare il tacco 12 un’icona di culto. La fortunata serie televisiva “Sex and
the City” affermò una volta per tutte che i tacchi stratosferici sono un
simbolo vincente di sessualità esibita senza problemi e in definitiva di
potere. Sparita la donna- oggetto si è affermata la donna dominatrice.
Oggi il tacco a spillo ha superato sé stesso arrivando anche i venti centimetri delle Armadillo di Alexander McQueen. Le ricerche scientifiche affermano che i trampoli hanno un effetto negativo sulla salute fisiologica: male ai piedi, calli, dita a martello, dolori lombari, e ovviamente il rischio di cadute e storte fanno parte degli inconvenienti collegati al loro uso. Sul web non è difficile rintracciare immagini di indossatrici e rockstar lunghe distese per terra come Lady Gaga, immortalata in uno spettacolare scivolone grazie alle scarpe-feticcio di Kermit Tesoro, un giovane stilista filippino che ha inventato per lei le "zeppe al contrario", appoggiate solo sul davanti e prive di tacco.
Da qualche anno in America sono comparsi anche i tacchi alti da uomo, riservati alle serate in discoteca. Come racconta un amante del genere sembra che aumentino la visibilità e ingigantiscano il senso di onnipotenza: "La sera non esco mai con meno di 20 centimetri di tacco, li aiutano a vedere al di sopra della mandria..."
Fonti:
Giorgio Riello, Peter MCNell, Scarpe, Angelo Colla
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