Obesa,
con seni enormi e natiche e cosce ipertrofiche. Così doveva apparire
la donna ideale che popolava i sogni degli uomini della preistoria,
almeno stando alle statuette del periodo – le cosiddette “Veneri”
– eseguite con notevole realismo fisico e probabili immagini del
culto della Dea Madre. Nella valle del Nilo, decine di migliaia di
anni dopo, un anonimo poeta celebrò la bellezza della sua amata
descrivendola con parole infiammate: “Stella fulgente, brillante di
pelle, dal petto luminoso, le dita come calici di loto, le languide
reni, le anche strette”. Il corpo asciutto dal seno appena
accennato e i fianchi poco arrotondati delle egiziane, faceva tremare
le vene e i polsi degli uomini del Faraone ma niente aveva a che
vedere con le preistoriche ciccione; tra questi due estremi –
grasso e magro - si colloca la lunga avventura della bellezza
femminile, una carrellata secolare di tipi estetici diversi tra loro
e variabili a seconda dei tempi, delle latitudini e delle mode.
Fino
alla rivoluzione del femminismo, a dettare le leggi della bellezza fu
quasi sempre il ruolo di moglie e madre in cui la società confinava
la donna e che mirava ad esaltare le parti del corpo destinate alla
riproduzione e all’allattamento. Non si vuole qui rinnegare la
funzione essenziale della maternità, quanto lo stereotipo millenario
che ha sempre voluto vedere – fin dai tempi di Ippocrate –
l'utero come unico organo direttore del corpo e della mente
femminili, sottovalutando o addirittura scartando la ricchezza e la
complessità fisica e psicologica del genere.
Il canone di bellezza
di cui sopra fu stabilito nella Grecia antica e – a parte il
medioevo - fu seguito per secoli: il modello fu la statua
dell'Afrodite di Cnido, celeberrima opera di Prassitele giunta a noi
tramite una copia romana. Rappresentata nell’atto di uscire dal
bagno, la carnosa figura della dea dalla vita massiccia e dalle
caviglie robuste, oggi non potrebbe certo entusiasmare gli
appassionati di sfilate di moda. Di parere diverso erano i greci che
ammiravano nella scultura in questione il ritratto di Frine, una
splendida cortigiana vissuta ad Atene nel IV secolo a.C., che aveva
la spudoratezza di fare il bagno in mare nuda durante le celebrazioni
in onore di Poseidone con grande gaudio della popolazione maschile.
Fu accusata di empietà e assolta con un processo in cui suo avvocato
Iperide, al posto dell'arringa si limitò a denudarle il seno: i
giurati la guardarono (immaginiamo a lungo) e si persuasero seduta
stante della sua innocenza.
Fianchi
larghi anche per la matrona romana, instancabile fattrice di soldati
da destinare alle glorie patrie, che manteneva la linea con
un’alimentazione succulenta e pesante; per le signore inoltre erano
di moda mandibole robuste, fronte bassa e ostinata e sopracciglia
congiunte alla radice del naso. Le mogli dei Cesari si stancarono
presto delle numerose e pericolosissime gravidanze cercando di
limitarle, ma il loro aspetto rimase fin quasi alla fine dell’impero
un inno ai pannicoli adiposi. Dal V secolo d. C. venne in auge un
tipo fisico opposto, quasi disincarnato e modellato su Teodora di
Bisanzio, la basilissa che ci osserva coi suoi immensi occhi dai
mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna. In quel tempo la
religione cristiana - ferocemente misogina – trionfava sugli dei
pagani opponendosi all'idea stessa di seduzione: una
delle caratteristiche del nuovo credo era infatti la rinuncia
sessuale, cosa che ebbe un’enorme influenza sull’estetica. Padri
della Chiesa come San Girolamo e Tertulliano iniziarono un'accanita
battaglia contro tutto quello che nella donna poteva risvegliare il
desiderio dell’uomo, combattendo la cosmesi e perfino l'igiene e
insistendo perché le ragazze si coprissero il capo col velo, per
evitare che le belle chiome risvegliassero brutti propositi.
L'ideale
di bellezza del medioevo maturo discese in Italia direttamente dal
nord Europa sull'onda delle liriche trobadoriche: l'amore tra uomo e
donna, l'amor cortese, inneggiava a una passione “cortese” al di
fuori del matrimonio e non sempre soddisfatta. Poeti e menestrelli
sospiravano per le trecce bionde, le angeliche sembianze, le membra
pargolette, gli occhi come vaghi lumi ardenti: così Petrarca
descrive Laura, una fanciulla incontrata una sola volta in una chiesa
d'Avignone di cui gli storici dibattono ancora l'esistenza. Era il
ritratto dell'adolescenza - l'età del massimo splendore per il
periodo - in cui le donne si sposavano e cominciavano a sfornar
figlioli per sfiorire definitivamente a 25 anni appesantite dalla
maternità, ed essere considerate decrepite superati i trenta. Questo
pregiudizio è durato secoli: tanto per fare un esempio ancora
nell'Ottocento un rispettabile e colto giornale di moda italiano, il
Corriere delle dame, pur se diretto da una signora, definiva “avole”,
ossia vecchie, le quarantenni a cui consigliava di vestirsi di scuro
e di velarsi il volto.
Simonetta
Vespucci, amata da Giuliano de' Medici e morta giovanissima tra il
generale cordoglio degli abitanti di Firenze, fu considerata la più
bella donna del primo rinascimento; a lei si ispirarono poeti come il
Poliziano e pittori come il Pollaiolo e Sandro Botticelli che ne fa
il ritratto nella sua celeberrima “Nascita di Venere”: un corpo
longilineo ma solido, collo, braccia e gambe lunghe, un profilo
incisivo col naso leggermente all'insù, la fronte molto alta
ottenuta come voleva la moda, con una meticolosa depilazione in cui
la “ceretta” era una sorta di micidiale impiastro a base di calce
viva e solfuro di arsenico per scoraggiare la crescita dei peli
ribelli. Simonetta chiuse la serie delle donne slanciate per aprire
al ritorno dell'esuberanza della carne; l'Umanesimo trionfante del
XVI secolo guardò di nuovo all'antichità classica ponendosi meno
vincoli moralistici e perseguendo non solo il piacere della cultura
ma anche quello dell'amore e del cibo. La donna ideale come la
vediamo nei ritratti di Tiziano mantiene nel volto i moduli
tradizionali – pelle candida, naso e bocca piccoli, occhi grandi,
ma si allarga nuovamente nei fianchi e nella pancia. Un detto
popolare dell'epoca fissava in una sorta di geografia estetica il
canone di perfezione: “Anche fiamminghe, spalle tedesche, piedi
genovesi, gambe slave, spirito francese, andatura spagnola, profilo
di Siena, seno di Venezia, ciglia di Ferrara, pelle di Bologna, mani
di Verona, portamento greco, denti di Napoli, dignità romana, grazia
milanese”, a cui sembra corrispondesse solo Giovanna d'Aragona,
moglie di Ascanio Colonna e duchessa di Tagliacozzo.
La
ridondanza dell'arte barocca coincide col trionfo della cellulite, il
cui massimo cantore fu il fiammingo Pieter Paul Rubens. Nel dipinto
“Le tre grazie”, riprende il tema antico delle dee della gioia di
vivere, sostituendo i giovani corpi sodi con un abbraccio di signore
mature e dalla carne un po' frolla. La moda andò avanti per oltre un
secolo finché il Settecento non lanciò un nuovo tipo
adolescenziale, sofisticato e malizioso: la bambolina dal corpo
tenero, i piedi e le mani minuscole, gli occhi e la boccuccia
ammiccanti dietro il ventaglio, in un poco innocente gioco di
civetteria. La novità fu che oltre alla bellezza occorreva possedere
“quel certo non so che”, ossia una sorta di intimo e affascinante
mistero senza il quale anche la perfezione estetica avrebbe perso
ogni importanza; come Madame de Pompadour, una borghese non
bellissima ma molto intelligente che dopo essere stata l'amante di
Luigi XV seppe mantenere la sua influenza presso il re diventandone
la più fidata consigliera.
La
rivoluzione francese spazzò via alcune teste coronate ma non l'idea
che la donna dovesse essere un bell'accessorio dell'uomo, prona ai
suoi voleri e piaceri. Dopo la pausa napoleonica, incarnata al
femminile dal ritorno della bellezza greca classica e dal corpo
alabastrino di Venere vincitrice-Paolina Bonaparte, la cultura della
borghesia emergente valorizzò ancora una volta le virtù materne e
domestiche. Anche i languori del Romanticismo influenzarono la nuova
moda che associava estetica e moralità: era nato l'angelo del
focolare dalla pelle esangue e dai grandi occhi (dilatati da colliri
a base di belladonna), la vita sottilissima strizzata dal busto,
sempre pronto a svenire a causa delle difficoltà respiratorie,
cercando però di cadere con grazia come suggerivano i manuali di
etichetta. Durò poco perché un qualche tipo di libertà – almeno
a Parigi – fu conquistata da quelle sfacciate che pretendevano di
appropriarsi di attività e vizi maschili come la scherma, il nuoto,
la lettura dei giornali e perfino il fumo.
La parigina si impose per la disinvoltura e il movimento, caratterizzato dal modo di camminare e dal fruscio della gonna che ne faceva immaginare le nascoste forme carnose.
La parigina si impose per la disinvoltura e il movimento, caratterizzato dal modo di camminare e dal fruscio della gonna che ne faceva immaginare le nascoste forme carnose.
Attorno
al 1910 il sarto francese Paul Poiret lanciò una collezione di abiti
privi di busto che spedirono in soffitta la terribile linea a
clessidra che aveva dominato l'Ottocento. Fu un successo strepitoso.
Più libera fisicamente, la donna godeva ormai dei bagni di mare,
delle cure termali, delle attività sportive all'aria aperta;
esibendo le braccia e una parte delle gambe, signore e signorine
cominciarono a preoccuparsi dell'aspetto di quelle parti del corpo
che erano state sepolte per secoli dai tessuti e dalla storia. I
giornali femminili intanto proposero diete e rulli per massaggi che
avrebbero dovuto eliminare doppio mento e grasso localizzato. Dopo la
prima Guerra mondiale e con gli “Anni ruggenti”, si affacciò
alla scena la cosiddetta “garçonne” (in inglese “flapper”)
magra e piatta, truccatissima e coi capelli corti, le gonne al
ginocchio, che lavorava e frequentava locali pubblici e che
soprattutto affrontava la sessualità in modo scandalosamente aperto.
Nel dopoguerra tornò di moda la “maggiorata fisica” dalle forme prorompenti come la “pizzaiola” Sophia Loren ne “L'oro di Napoli”. Ci sarebbero voluti gli anni Sessanta, la stilista Mary Quant e la minigonna per rilanciare la magrezza, impersonificata nella super modella Twiggy, la ragazza-grissino dal look denutrito che ha purtroppo dato il via al pericoloso ideale della bellezza anoressica.
Fonti:
Carla Ravaioli, Profilo di Siena, seno di Venezia, Storia illustrata, gennaio 1960
http://www.lundici.it/2017/03/50-000-anni-di-bellezza-dalla-cicciona-delle-caverne-alla-donna-grissino/
http://www.lundici.it/2017/03/50-000-anni-di-bellezza-dalla-cicciona-delle-caverne-alla-donna-grissino/
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