Nel 1853, un commerciante ebreo di origine bavarese, Levi Strauss, aprì a San Francisco un emporio che vendeva oggetti utili agli avventurieri impegnati nella corsa all'oro. Cominciò a confezionare anche abiti da lavoro, utilizzando tessuto per tende, che tuttavia si dimostrò poco resistente.
Alla ricerca di un materiale più idoneo e robusto, Strauss iniziò a utilizzare il denim, con l'idea di approfittare della sempre maggior richiesta di abiti da lavoro nelle miniere, di coperture per i conestoga, ossia i carri dei pionieri, nonché di vele. Uno dei suoi clienti, il sarto Jacob Davis, diventò suo socio: i due idearono insieme il primo vestito in jeans denim, inventando anche con grande successo la salopette. Gli abiti da loro creati avevano le doppie cuciture e molte tasche rinforzate da rivetti di rame, che ne diventeranno uno degli elementi caratteristici. Nel 1873 Strauss e Davis decisero di brevettare il loro tessuto.I "genovesi" piacquero anche a Giuseppe Garibaldi, che li indossò assieme a molti dei suoi garibaldini durante lo sbarco dei Mille a Marsala. Oggi quei pantaloni sono conservati al Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano.
Negli anni Cinquanta i jeans fecero il loro ingresso dirompente sugli schermi di Hollywood: nel film "Il selvaggio", Marlon Brando li accompagnava a un giubbotto di pelle nera, noto da noi come "chiodo". A cavallo di una Triumph Thunerbird 6T, l'attore impersonava il malessere giovanile di quegli anni, che si sfogava con comportamenti spacconi e aggressivi. Nel film "La valle dell'Eden" James Dean portava camicia denim e jeans, traducendo la frustrazione e al contempo la voglia di arrivare dei ragazzi americani.
Grazie a questi film, i jeans cominciarono ad essere conosciuti oltre oceano, anche se in Europa chi li portava veniva vituperato come un pericoloso teppistello. Il successo mondiale arrivò negli anni Sessanta con la musica rock, quando le band che affollavano stadi e piazze li adottarono assieme a t-shirt coloratissime. Nel 1969 a Woodstock, si tenne il primo festival "di pace, musica e amore", a cui parteciparono migliaia di giovani che indossavano i mitici pantaloni blu; per loro il jeans era una sorta di seconda pelle alternativa alla nudità.Durante la contestazione giovanile degli stessi anni, i manifestanti del Maggio francese portavano i jeans. L'indumento era in piena contraddizione con le idee comuniste che provenivano dai paesi del Soviet, in cui questi pantaloni erano proibiti e contrabbandati e dove i componenti di un gruppo rock, furono addirittura messi in carcere, perché i jeans esprimevano sentimenti "antirivoluzionari". Oltre la cortina di ferro non si scherzava, ma non per questo il potere riuscì a fermare il successo dei jeans. Chi andava in Russia negli stessi anni, scambiava jeans in cambio di oggetti d'arte infinitamente più preziosi come le icone bizantine.
Nel 1923 in Turchia, il generale e dittatore Ataturk, aveva imposto una radicale modernizzazione, introducendo leggi laiche che si ispiravano addirittura a quelle svizzere. Ataturk abolì qualsiasi abito tradizionale, vietò il velo islamico, introdusse perfino la parità dei sessi, il suffragio universale, e il calendario gregoriano. La Turchia si trasformò quindi in un paese moderno permettendo così la diffusione dei jeans occidentali; alla fine degli anni Novanta tuttavia, le spinte integraliste hanno portato al ritorno del burka e della veste lunga per le donne, accusate di scoprirsi troppo e di indossare abiti maschili.
Intanto, sull'onda delle aspirazioni spirituali e della voglia di misticismo dei "figli dei fiori", nacquero marchi il cui nome si rifaceva provocatoriamente al Vangelo: il primo jeans italiano, prodotto a partire dal 1971, si chiamava infatti Jesus. Protagonista di dirompenti campagne pubblicitarie affidate a Oliviero Toscani ed Emanuele Pirella, Jesus comparve sui manifesti con un'immagine che raffigurava un personaggio dal sesso dubbio, che esibiva pantaloni sbottonati fin quasi ai peli pubici, sottolineato dallo slogan "non avrai altro jeans all'infuori di me". Ancor più celebre fu la campagna lanciata poco tempo dopo, che mostrava le provocanti natiche della modella Donna Jordan, solo parzialmente coperte da jean cortissimi e succinti. Le polemiche non si contarono, da quelle dell'Osservatore romano" alla critica molto più celebre di Pier Paolo Pasolini, pubblicata sul Corriere della sera col titolo "Il folle slogan dei jeans Jesus". "Non c'è da stupirsi: la Chiesa non può reagire" - afferma Pasolini - perché ha stretto con la borghesia un'alleanza suicida, un patto col diavolo ben peggiore del modus vivendi trovato col Fascismo, regime che non l'aveva neppur scalfita". Lo scrittore continua poi sottolineando il cinismo che macchia per l'ennesima volta la storia della Chiesa, mentre il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale avanza, accompagnato da un'universale mutazione dei valori storici e dall'edonismo proposto come nuova religione.
Come affermò Pasolini, l'industria si era impadronita e aveva commercializzato i nuovi ideali giovanili di libertà ed uguaglianza: un altro lancio pubblicitario, mostrava una camicia in denim con uno spazzolino da denti nel taschino, come a dire "solo questo ti basta per andare dove vuoi"; sempre verso la fine degli anni Settanta inoltre, le rivendicazioni femministe di parità tra i sessi, indussero le imprese a inventare completi jeans unisex, pantaloni, camicia e cappello compresi.
Nel novembre 2004, Genova commemorò il suo primato storico su questi pantaloni, esponendo nel porto antico un modello alto 18 metri e confezionato con seicento paia di vecchi jeans.
Link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Blue-jeans://
ilsognodiunacosa.wordpress.com/2010/12/19/il-folle-slogan-dei-jeans-jesus-17-maggio-1973/


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