La storia della borsa è molto antica, anche se non ben documentata. Probabilmente nacque assieme al denaro e si presume fosse un sacchetto comodo e portatile di uso prettamente maschile. Le prime monete metalliche in bronzo furono forse inventate in Cina circa 2700 anni fa, ma a Creso, re di Lidia, fu attribuita l’introduzione della moneta in oro od argento. Nella civiltà greca antica la moneta era diffusa, e forse non è un caso che la radice della parola borsa derivi proprio dal termine greco “Byrsa” che vuol dire cuoio. Aumentando la circolazione monetaria si diffusero maggiormente anche le borse, di cui conosciamo alcuni nomi latini: la “zona” da portare in cintura, la “crumena” da mettere a tracolla, la “manticula” che si teneva in mano. Il poeta Marziale ne cita una a cui fa dire: “Quando sarò passata di moda non buttarmi via, te ne prego, che non mi prenda qualche barbone per metterci gli avanzi e magari non mi faccia dormire col suo cagnaccio”. Durante il Medioevo la borsa o per meglio dire la bisaccia, fu un accessorio indispensabile di cui si dotavano i pellegrini che si recavano in adorazione dei luoghi santi della cristianità: Santiago, Roma, Gerusalemme. Il “Liber Sancti Jacobi” del XIII secolo descrive la vestizione del pellegrino come una cerimonia liturgica in cui si indossava tra l’altro il capace accessorio che doveva contenere il minimo indispensabile per il viaggio: lasciapassare, denaro, ciotole per mangiare e persino guide o carte che indicavano la strada.
Nel Medioevo la borsa diventò tuttavia anche un importante elemento del vestiario cittadino: ne fanno fede le Arti o corporazioni del XIII secolo. A Firenze i Calzolai, i Cuoiai i Caligai, che si occupavano della lavorazione del cuoio avevano le loro botteghe vicino all’Arno dove venivano conciate anche le pelli. Le borse si trasformarono da rozzi sacchetti di cuoio a preziose scarselle decorate, dette anche marsupi, che si appendevano alla cintura con corregge in cuoio. Anche i materiali cominciarono a diversificarsi: le più eleganti erano in seta di diversi colori, le più costose con ricami in oro, perle e gemme. L’invenzione del lavoro a maglia introdusse le borse “laborate ad acum”, mentre per indicare il casato a cui si apparteneva vi si applicava lo stemma, usanza ricordata anche Dante nell’Inferno, quando descrive gli usurai che camminano sotto una pioggia di fuoco con le borse attaccate al collo.
Con le borse nacquero anche i borsaioli, detti anche tagliaborse, perché con un rapido colpo di coltello recidevano le cinghie della borsa per rubarla. Una borsa particolare diffusasi dopo le crociate fu l’elemosiniera, detta anche alla francese “aumonière sarrazinoise”, ossia alla saracena, che ne ricordava l’origine orientale. Era un sacchetto quadrato o trapezoidale, a volte increspato sulla parte superiore e legato alla cintura, dove si riponevano gli spiccioli per le elemosine. Col tempo l’elemosiniera si arricchì di chiusure metalliche , di cerniere e piccoli scomparti. Oltre che simbolo di ricchezza la borsa maschile tardo medievale era per l’uomo un’esibizione di virilità. Dalla seconda metà del Trecento infatti, i vestiti maschili si accorciarono fino alle natiche e la cintura scese quasi all’altezza dei glutei: la borsa era posta nel mezzo, come ironicamente racconta il Villani nella sua “Nuova Cronica” alludendo all’organo su cui era appoggiata.
Anche il Rinascimento praticò la moda della borsa, che nel frattempo si era moltiplicata nei modelli “alla francese” , “alla ferrarese”, “alla veneziana”, “alla castigliana” per lo storico di difficile individuazione. Forse era del tipo francese quella menzionata da Leonardo da Vinci, “con lunghe e acute punte” che ricordavano la moda d’oltralpe del gotico fiammeggiante. Come per altri accessori le borse potevano essere un pregiato dono di matrimonio che recava i ritratti dei futuri sposi. Un ulteriore e curioso modo di portare lettere ci è testimoniato da un dipinto del Carpaccio, che rappresenta un guerriero in armatura con calzebraghe chiuse sui genitali da uno sportello in tessuto in cui è inserito un documento. Durante il secoli del Barocco la borsa subì un’eclisse: a causa dell’eccessivo allargamento delle gonne, gli oggetti e il denaro vennero infilati in capaci tasche nascoste sotto le pieghe della sottana. Un taglio praticato nel tessuto permetteva di allungare una mano e prendere l’oggetto desiderato. Sì, perché il diffondersi di preziosi accessori di bellezza come i ventagli, i sali profumati, le tabacchiere, i portanei, i necessaire da cucito, crearono l’esigenza di contenitori capaci, nascosti appunto nelle tasche femminili e maschili. Nel Settecento era compito del cicisbeo di porgere alla dama da lui servita ciò di cui aveva bisogno. Oltre a ciò la diffusione del manicotto, che assunse dimensioni enormi alla fine del Settecento, permetteva l’inserimento di ulteriori piccole tasche. Molto diffusa in questo secolo fu anche la borsa da lavoro, ossia da cucito.
Con l’avvento della Rivoluzione francese gli abiti femminili si semplificarono al punto da sembrare candide camicie. Non potendo più usare le tasche le signore ritornarono alla borsetta, questa volta appesa al braccio, ma talmente minuscola da essere chiamata “ridicule”. Durante l’Ottocento il nostro accessorio conobbe alterne fortune, ma in generale rimase l’uso delle tasche nascoste, perché la gonna fu per tutto il periodo talmente larga da rendere la borsa troppo impegnativa. A volte piccoli modelli da sera, in rete metallica o in tessuto, contenevano il carnet di ballo o altri minuscoli oggetti. Solo verso le fine del secolo, col diffondersi dei viaggi, della villeggiatura e delle passeggiate all’aperto, fu necessario riscoprire la comodità della borsa dove si potevano infilare il portamonete, i sali, lo specchietto, il taccuino. Solitamente in tessuto di seta, raso o velluto, poteva anche essere fatta in casa dalla proprietaria che vi ricamava sopra motti o le proprie iniziali.
L’uso di massa della borsetta esplose molto più tardi, quando la donna, dopo la prima guerra mondiale, iniziò ad uscire dall’ambito chiuso delle case, cominciò a lavorare ed ebbe la necessità di portarsi dietro un comodo contenitore per le proprie necessità personali. Le dimensioni delle borse aumentarono e numerosi modelli furono pubblicati sulle riviste specializzate. Costumisti, artisti, stilisti iniziarono ad interessarsene: da Erté a Paul Iribe, da Sonia Delaunay, a Futuristi come Giacomo Balla. Convivevano varie tendenze: la “trousse”, piccolo contenitore-gioiello in materiale rigido come la giada o la tartaruga, e per le più audaci in oro, come quella creata da Salvador Dalì a forma di colomba con le ali piegate; la “pochette”, con o senza manico, la borsa in cuoio o coccodrillo a due manici, la borsina di perline ornata di frange col manico a catenella. Negli anni Venti Coco Chanel inventò la sua borsa inconfondibile, trapuntata e col manico a catenella, subito adottata da dive come Marlene Dietrich e Gloria Swanson.
A Parigi nel 1935 i fratelli Hermès inventarono la Kelly bag, in origine una borsa da sella, poi ridotta di dimensioni e resa famosa nel 1956 da Grace Kelly ormai principessa di Monaco; nel 1937 Elsa Schiaparelli lanciò la borsa a secchiello, copiata dalla pubblicità di una compagnia aerea. In Italia già da tempo erano nati Gucci e Gherardini, destinati a notevoli fortune. Ormai la borsa era entrata di prepotenza nella moda e nessuna signora se ne sarebbe privata, abbinandola con le scarpe appropriate. Negli anni Sessanta, con la contestazione giovanile e il rifiuto della moda imposta dall’alto, la borsa elegante cominciò ad essere sostituita da modelli in cuoio fatti a mano o ispirati a prototipi etnici, tascapane. Nello stesso periodo fece la sua fugace comparsa il “borsello da uomo”, disapprovato dagli arbitri dell’eleganza. Ma intanto stavano arrivando sul mercato il tessuto plastificato o i materiali sintetici. Le nuove borse “casual” non erano affatto economiche, soprattutto se firmate da importanti stilisti. Il marchio era diventato più costoso del materiale.
Bibliografia: R. Levi Pizetsky, Storia del costume in Italia, Istituto editoriale italiano, Milano, 1967; M. Schiaffino, O la borsa o la borsetta, Idea libri, Milano, 1986; L. Bordignon Elestici, Borse e valigie, ed. BE-MA, Milano 1989
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