Nato nel 1895 a Getaria in Spagna, quello che verrà chiamato da Cecil Beaton, “Il Titano della moda”, proveniva da una famiglia povera ma era nato col dono di una grande creatività. Dalla madre, che faceva la cucitrice, apprese i primi rudimenti di taglio e cucito. Questo ragazzo così dotato per la sartoria, fu notato dalla Marchesa de Torres che gli commissionò il primo lavoro importante: copiarle un abito di Paul Poiret. Soddisfattissima del risultato la nobildonna lo spedì a Madrid perché studiasse il mestiere. Nel giro di pochi anni avrebbe aperto tre maison in Spagna, recandosi spesso a Parigi per aggiornarsi sugli ultimi modelli. Diventò ben presto il couturier dell’aristocrazia e perfino della famiglia reale. Nel 1937 fu costretto stabilirsi definitivamente a Parigi a causa della Guerra civile spagnola ed aprì una propria casa di moda in avenue George V, anche qui aiutato da un altro esule. Nonostante la concorrenza della grande sartoria francese, la sua prima collezione fu un successo. Fin dai primi anni di lavoro Balenciaga mostrò lo spirito introverso che lo avrebbe caratterizzato per tutta la vita: fu uno dei pochi stilisti a disegnare, tagliare e cucire da solo le proprie creazioni, studiando con pignolissima cura le proporzioni dei suoi modelli. Preferiva la sobrietà e la geometria dei tagli impeccabili; prediligeva stoffe rigide e preziose, adatte ad assecondare i suoi progetti, dichiarando che: “un bel vestito segue il corpo, e solo il corpo”. Per lui un vero stilista doveva essere architetto, scultore, pittore e perfino musicista nell’armonia e filosofo nella moderazione.
Nei colori era evidentemente influenzato dalla grande pittura spagnola, quella di Velázquez e Goja, con sfumature di marrone o “blocchi” di bianco e nero, e solo verso gli anni ’50 presentò capi in giallo e rosso brillante, verde bottiglia, viola, rosa confetto. Amava i contrasti anche nell’utilizzo dei tessuti, abbinando preziose stoffe tradizionali, come la seta, il taffettà, il tweed e il cotone canvas a tessuti nuovi, sperimentali e sintetici.
Era un lavoratore infaticabile e un anticipatore: nel 1939 presentò abiti dalle spalle arrotondate, la vita stretta e i fianchi arrotondati che in qualche modo precorrevano il New Look di Christian Dior. Contrariamente a tutti gli altri sarti, che cambiavano linea ogni sei mesi, Balenciaga ammetteva solo impercettibili ed essenziali variazioni.
Il pieno successo però arriverà solo dopo la Seconda guerra mondiale e durerà fino ai primi anni Sessanta, consolidando il nome della sua casa nel mondo dell’alta moda. Negli anni ’50 inventò una linea memorabile in cui le gonne erano rialzate bruscamente sul davanti e cadevano a coda sul retro con evidente riferimento alle vesti delle ballerine di flamenco. Infatti non dimenticò mai le sue origini spagnole e riuscì a far apprezzare alla Parigi bene elementi caratteristici del suo paese come il pizzo, il bolero e il contrasto tra rosso e nero. Nel 1956 lanciò una linea che - dopo un decennio di vite strozzate - fece scandalo: il sacco nero, uno chemisier che fu oggetto anche di caricature. Ma il pubblico, nonostante tutto, lo apprezzò e tutt’ora può considerarsi un classico della moda. Creò molti tailleur, tra cui il più celebre era in tweed col collo scostato. Questo tipo di colletto fu una sua caratteristica e una sua ossessione; dichiarava che : “Lo stelo deve avere aria intorno per reggere la testa “fiore”. Fu anche l'inventore dell'abito a uovo e della linea a palloncino. Negli anni Sessanta aveva una clientela invidiabile nel bel mondo europeo: sarto ufficiale della Casa Reale spagnola, prediligeva le donne decise e naturalmente eleganti, perché riteneva che l’eleganza naturale fosse il primo presupposto per indossare bene un bell’abito.
Nel 1968ì, con l'avvento del Pret-a-porter, decise di ritirarsi: non era interessato al denaro e rifiutò sempre gli allettanti inviti degli americani, pur rimanendo di grande ispirazione per successivi e importanti stilisti.
Come già detto aveva un carattere schivo e taciturno. Guido Vergani, nel suo “Dizionario della moda”, lo racconta così: “Ho visto sette collezioni di Balenciaga ma non ho mai visto neppure il naso del grande Cristobal affacciarsi da una porta o da una tenda del suo atelier. Mi è capitato di vederlo per caso una volta alle tre del pomeriggio, in un piccolo bistrot, solo, triste, elegante, consumare una colazione con omelette e olive nere e scambiare qualche tenero sguardo con il suo cane”. E altrove: “Nell’atelier di Balenciaga, durante le sfilate, c’era l’atmosfera di un convento con severissima badessa o quello di un collegio con quelle scellerate direttrici di certi film tedeschi. Mademoiselle Renée, la direttrice implacabile dell’atelier, aveva coi giornalisti dei rapporti quasi sadici: non solo non si poteva parlare, ma neppure tossire e per nessuna ragione al mondo, fosse pure scoppiata la seconda guerra mondiale, si poteva lasciare la sala prima della fine della collezione. Leggi che valevano anche per le mannequin che non potevano parlare a voce alta nei camerini e non dovevano avere la benché minima espressione durante le sfilate”. Balenciaga morì a Valencia nel 1972.
Attualmente il marchio è in mano Nicolas Ghesquière e fa parte del gruppo Gucci.
Nel 2011 una selezionatissima giuria spagnola capeggiata dalla Regina Sofia, ha assistito all’inaugurazione del Museo Balenciaga, a Getaria.
Bibliografia: Guido Vergani, “Dizionario della Moda”, ed. Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010.
Georgina O’ Hara, “Il dizionario della moda", ed. Zanichelli, Bologna, 1994
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