Donna in preghiera, Catacombe di San Gennaro |
L'usanza
di coprire il capo femminile con un pezzo di stoffa - velo,
fazzoletto o mantello che sia - non è e non è stata una prerogativa
dell'Islam, ma è diffusa da secoli in tutto il mondo e in tutte le
culture, non esclusa quella cattolica. Prima di Maometto, che morì
nel 632, sia in Europa che in Arabia le donne si velavano la testa,
usanza collegata con la simbologia attribuita ai capelli che se in un
uomo esprimevano la forza vitale – come nella storia biblica di
Sansone le cui lunghe chiome gli facevano compiere azioni sovrumane -
in una donna erano un potente richiamo su cui si concentrava tutta la
carica allusiva sessuale che il velo tentava di contenere. Si deve
agli Assiri più di tremila anni fa l'introduzione per legge dell'uso
del velo, riservato alle donne di casa (mogli, figlie e concubine)
durante le uscite pubbliche. Anche nell'Antico Testamento se ne parla
diverse volte, sottolineando l'ambivalenza di questo tessuto che
nasconde e al tempo stesso suggerisce una bellezza da cogliere: dalla
Genesi, in cui Rebecca si copre il capo in segno di sottommissione
andando incontro a Isacco, suo futuro marito, al Libro del profeta
Isaia che – molto più malevolo – fa dire al Signore che renderà
tignoso il cranio delle superbe figlie di Sion e le spoglierà di
ogni ornamento, velo compreso, al Cantico dei Cantici dove un uomo
innamorato e infiammato dichiara alla bella Sulamita che i suoi occhi
seminascosti dal velo gli appaiono come colombe.
Vibia Sabina, moglie dell'imperatore Adriano |
Non
sempre nell'antichità le donne andavano a capo coperto, cosa che
poteva dipendere dall'età o dallo stato civile: se le giovanissime
potevano esibire le chiome per attirare pretendenti, le sposate le
nascondevano in segno di fedeltà nei riguardi del marito. Così fa
Penelope nell'Odissea quando scende dai suoi appartamenti per parlare
ai Proci; così facevano le matrone romane che – anche se più
libere delle greche – quando uscivano si coprivano la testa con un
velo o il lembo del mantello. Dobbiamo a San Paolo nella prima
lettera ai Corinzi una severa prescrizione circa l'uso del velo
femminile che farà scuola nel Medioevo; l'apostolo infatti afferma
decisamente che la donna deve portare sul capo un segno della sua
dipendenza dall'uomo e che se proprio non si vuole velare è meglio
che si rada i capelli. Seguendo il suo esempio in peggio, apologeti e
padri della chiesa fecero a gara per scagliarsi contro l'altra metà
del cielo, ritenuta da Tertulliano “la porta di Satana” con
riferimento alla caduta dell'umanità tramite Eva; è proprio
all'apologeta cartaginese che si deve il “De virginibus velandis”
un trattato in cui si sistematizza la copertura della testa, non solo
in segno di modestia, ma anche come una sorta di disciplina per le
reprobe in segno di espiazione per la colpa della progenitrice.
Vitale da Bologna, Madonna dei denti |
Prima
del Mille l'abbigliamento maschile e femminile ebbe caratteri di
sostanziale uniformità tranne che per la diversa lunghezza delle
vesti; la moda caratterizzata dalla mutevolezza con cui la intendiamo
non era ancora nata (gli abiti si lasciavano addirittura in eredità)
ma col proseguire del Medioevo, i numerosi viaggi che fecero
conoscere in Europa costumi stranieri e il maggiore profitto dei ceti
cittadini, aumentò la varietà e la ricchezza dei corredi. L'ideale
della donna angelicata perseguito dalla lirica trobadorica ne fece un
sogno irragiungibile permeato di gentilezza e di onestà un'angelica
creatura dai capelli biondi e dalla pelle chiara che Petrarca,
ricordando la sua Laura, vede avvolta in un “bel velo”. Dal XIII
secolo in poi questo capo di abbigliamento soddisfece sì l'esigenza
moralistica di coprire i capelli, ma al tempo stesso diventò un
oggetto elegante che incorniciava con grazia il volto e ne faceva
risaltare l'ovale. Lo possiamo vedere nelle numerosissime Madonne
dipinte – un esempio per tutte la “Madonna dei denti” di Vitale
da Bologna – che sotto un raffinato mantello mostra un velo
trasparentissimo accompagnato dal soggolo, una striscia di tessuto
che cinge il collo poi passata all'abbigliamento monastico femminile.
Sempre più frequente diventò l'uso di coroncine di fiori e di
metallo e delle bende, ossia di leggere fasce di tessuto che
passavano sotto la gola e sul capo esponendo agli sguardi maschili le
belle trecce: lo scandalo montò e le lussuriose furono dipinte negli
affreschi che rappresentavano il Giudizio Universale mentre venivano
trascinate all'inferno con tanto di acconciatura alla moda. La Chiesa
intervenne: nel 1279 il potente cardinal Latino Malabranca emanò una
serie di Costituzioni l'ultima delle quali se la prendeva con gli
abiti femminili: in particolare si ordinava alle ragazze sposate di
età superiore ai 18 anni di indossare il velo pena la mancata
assoluzione in confessionale, cosa che – racconta il cronista
Salimbene de Adam – per le donne fu più amara della morte. Le
reazioni a tanta severità però non mancarono, e le più audaci si
fecero fare veli di bisso e di seta intessuti d'oro, sì da sembrare
ancora più belle e seducenti.
Hans Memling, Giovane donna con garofano |
Col
moltiplicarsi delle fogge durante il Trecento e il Quattrocento, si
passò definitivamente dal semplice panno appoggiato in testa a vere
e proprie acconciature o copricapi a dir poco spericolati. La moda
che introduce il Rinascimento – raccontata dalle cronache e dalle
Leggi suntuarie ma ancor più dai dipinti e dai ritratti- è ricca di
grazia e fantasia. Ormai solo le donne in età si avvolgevano il capo
in modo semplice e modesto: per le altre si diffusero curiosi
copricapi provenienti dal settentrione d'Europa; quello che a noi è
noto come “cappello delle fate”, ossia un altissimo cono che
all'epoca si chiamava “hennin”, ebbe successo più che altro
all'estero o presso le mogli dei mercanti e banchieri che
trafficavano al nord, ed era allungato ulteriormente da un velo
sorretto da una leggera incastellatura metallica. In Italia invece
furoreggiò la “Sella”, un copricapo a due corna sormontato da
tessuti leggeri e preziosi, preso di mira dai predicatori che vi
vedevano un sedile voluto dal diavolo per riposare meglio. Ma il velo
era anche oggetto costoso e soggetto al furto, come testimoniano gli
statuti di Perugia: i ladri, donne o uomini che fossero commettevano
un duplice reato appropriandosi di un bene altrui, ma anche
attentando alla modestia della derubata e all'onore del marito, ancor
più se l'atto era accompagnato da insulti o addirittura da violenza
sessuale; la sbrigativa giustizia d'altri tempi puniva i rei con
multe severe e a volte perfino con la pena di morte tramite
impiccagione.
Al
giorno d'oggi se parliamo di velo ci viene in mente quello bianco
delle spose, ma non è sempre stato così perché un tempo esse
indossavano abiti coloratissimi; le antiche romane il giorno delle
nozze si cingevano con un rettangolo di tessuto trasparente, il
flammeum, di colore rosso o aranciato, una tinta beneaugurale
probabilmente collegata al fuoco che la padrona di casa doveva
mantenere vivo. Il flammeum simboleggiava il passaggio dalla casa
paterna a quella del marito e dalla condizione di vergine a quella di
sposa e madre. Nel Medioevo e nel Rinascimento la nubenda poteva
portare un copricapo alla moda riccamente decorato, come ben si vede
nello splendido cassone nuziale della moglie di Boccaccio Adimari,
conservato alle Gallerie dell'Accademia di Firenze. Oltre al colore
rosso ci si poteva anche vestire di nero, che non era necessariamente
una tinta luttuosa, ma piuttosto signorile specie se arricchita con
sontuose finiture in oro. L'abito bianco venne di moda solo nella
prima metà dell'Ottocento, quando Pio IX proclamò il dogma
dell'Immacolata Concezione.
Abiti da lutto vittoriani |
Per
le vesti da lutto le antiche norme suntuarie cercarono più che altro
di contenere le spese relative al costo della cerimonia, ordinando
che il velo da cordoglio fosse semplice e di poco valore e che fosse
portato per un tempo limitato; in Francia invece le regine vedove si
vestivano di bianco come fece Maria Stuarda alla morte del marito
Francesco II. Con l'abolizione delle leggi suntuarie dalla fine del
Settecento in poi il completo da lutto entrò a far parte di ogni
guardaroba aristocratico o borghese. A causa dell'altissima mortalità
dovuta alle malattie nel periodo antecedente la scoperta degli
antibiotici, i decessi erano frequenti ed era comune incontrare
persone in abiti funerei. Il lutto era regolamentato dalla tradizione
e dalla religione e cambiava a seconda del grado di parentela del
defunto. Si divideva in lutto grave, mezzo lutto e lutto leggero,
passaggi che duravano da un anno ad alcuni mesi e che comportavano un
progressivo alleggerimento delle gramaglie e la possibilità di
ricominciare a indossare gioielli; nel primo periodo le signore si
vestivano completamente di nero accessori compresi, mentre il lungo
velo vedovile in tessuto di crespo spesso copriva totalmente il viso.
Un tipico caso di lutto stretto fu quello della Regina Vittoria
d'Inghilterra, che dalla morte del marito Alberto nel 1861 non volle
più abbandonare gli abiti vedovili.
Il
Novecento è il secolo in cui il velo da testa viene completamente
abbandonato anche in chiesa, come stabilito dal Codice di Diritto
Canonico nel 1983. Oggi al centro di ogni discussione è solo il velo
islamico. Per fare chiarezza il Corano ne auspica l'uso alle donne
dei credenti – senza specificarne la forma – e solo come
protezione contro le offese (Sura XXXIII, v.59).
Hijab e Nikab |
Tra vari tipi di
veli e fazzoletti ricorderei: quelli che nascondono solo la testa
lasciando scoperto il viso come il comunissimo Hijab – che le
stesse donne musulmane considerato un importante e comprensibile
elemento identitario - quelli che occultano tutto il corpo senza
celare la faccia – il Chador iraniano – e quelli che avvolgono
totalmente la donna come il Burka afganistano e l'altrettanto
intransigente Nikab dell'Arabia saudita, da cui spuntano solo gli
occhi. La legge italiana ammette la copertura della testa e del corpo
purchè sia possibile l'identificazione dell'individuo – vietando
anche maschere e caschi integrali – a meno che non ci sia un
“giustificato motivo” come appunto la tradizione religiosa. Il
terrorismo Jihadista ha portato diversi stati europei a formulare
leggi che proibiscono il velo integrale. In Italia giace in
Parlamento dal 2007 una proposta per vietare il burka su tutto il
territorio nazionale: vedremo come va a finire. Personalmente sono
contraria a chiudere la femminilità in un sacco e aggiungo solo che
– riguardo al desiderio – ci sono infiniti modi per esprimerlo
come ben sapevano le nostre morigerate nonne quando facevano cadere
“distrattamente” per terra davanti al loro Lui un fazzolettino
ricamato.
Fonti:
Maria
Giuseppina Muzzarelli, A capo coperto. Storie di donne e di veli, il
Mulino
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