Roberto Capucci, nato a Roma nel 1930, è stato un enfant prodige della moda a cui arrivò quasi per caso, dato che i suoi interessi primari erano la scenografia, il costume teatrale, l’architettura. Dopo aver frequentato il Liceo artistico, collaborò con lo stilista Emilio Schubert, per poi aprire a soli vent’anni una Casa di moda per contro proprio. Nel 1951 presentò le sue creazioni a Palazzo Pitti di Firenze, ottenendo un successo immediato. Nel 1958 presentò la linea “a scatola” aggiudicandosi l’Oscar della moda. Diventò in breve famoso e apprezzato, tanto che lo stilista francese Christian Dior lo definì in un’intervista a Vogue: “il miglior creatore della moda italiana”. Era infastidito dalla volgarità e dal cattivo gusto, cercando stimoli nella storia dell’arte. Certamente la formazione lo aiutò ad acquisire consapevolezza culturale: era affascinato dai primitivi italiani – Giotto, Pisanello, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Paolo Uccello, e dai loro colori ora teneri ora squillanti, cui aggiunse ben presto tinte tenebrose. Fin dall’inizio si dimostrò interessato alla sperimentazione sulle forme e le decorazioni: ogni abito, praticamente una scultura in tessuto, richiedeva almeno mille ore di lavorazione manuale, con cuciture praticamente invisibili e ricami eseguiti con materiali insoliti come pietruzze di fiume o piccole conchiglie. Innamorato fin dall’inizio della seta, ne approfondì la conoscenza nell’Opificio Serico del marchese Pucci scoprendo l’ormesino, un antico tessuto lavorato su telaio a mano, che usò nella versione cangiante.
La ricerca delle possibilità che gli offriva la seta, da lui stesso definita “un tessuto nobile, duttile, che si piega a tutte le invenzioni” lo portò in seguito a fornirsi presso antiche manifatture come i Gammarelli, fornitori vaticani. Tuttora questo tessuto è protagonista delle sue collezioni nelle sue infinite varianti: dallo chiffon, al crêpe georgette, dal raso, al velluto, al taffetas; in ciò ha seguito la storia e la tradizione della moda italiana coi suoi infiniti e preziosi modelli, da quelli nobiliari ai paramenti sacri. Proprio con un abito serico tramato d’oro ha voluto qualche anno fa rendere solenne l’apertura della sua fondazione. Fa tingere le sue stoffe a Lione, riproducendo infinite sfumature di colore, fino 172 in un abito presentato all’expo di Lisbona del ’98.
Il successo strepitoso raccolto negli anni romani era contrario alla sua natura introversa. Era spaventato “dal contagio della volgarità, dal mal gusto imperante, dalla bruttezza”. Così “il piccolo Re di Roma” – come era stato battezzato dai giornali – decise di andarsene ed aprire nel 1962 un atelier a Parigi accompagnato solo dalla sorella Marcella. Voleva creare in solitudine, ispirandosi ai suoi viaggi, ai suoi studi sull’arte, alle osservazioni della natura. Nel 1968 tornò definitivamente in Italia e nel 1970 realizzò gli abiti di Silvana Mangano e Terence Stamp per il film “Teorema” di Pier Paolo Pasolini. Nel 1980 decise di allontanarsi dal mondo delle grandi istituzioni di moda, presentando una collezione di alta moda all’anno e sempre in una città diversa, esponendo le sue creazioni non come quelle di un grande sarto, ma di un vero e proprio artista, utilizzando come fondale antichi palazzi, musei, sale per concerti. E’ proprio in questo periodo che cominciò a introdurre il plissè piegato alle sue esigenze creative. Non si è mai dedicato al prêt à porter. Ormai era conosciuto anche in Oriente, dove fu chiamato per tenere lezioni sull’arte di creare all’Università di Pechino e di Shanghai.
Il suo percorso, che dura tuttora ininterrotto, gli ha portato onorificenze e riconoscimenti: i suoi abiti da cerimonia sono stati indossati da molte donne dell’alta società italiana ed europea: Gloria Swanson, Marilyn Monroe, Silvana Mangano. Resta famoso il modello realiozzato per Rita Levi Montalcini in occasione della cerimonia per il premio Nobel a lei conferito nel 1986.
Nell’ultimo trentennio della sua attività ha trovato ulteriori fonti d’ispirazione nel Rinascimento Italiano, di cui ha usato le ampie maniche, i sontuosi strascichi e i colori vivacissimi, nel Barocco di Velazquez e di Tiepolo, nell’abbigliamento e nelle armature orientali. Anche l’antica divisone del mondo fisico negli elementi fondamentali, Acqua, Terra, Aria, Fuoco, è stata per lui una spinta alla creazione di sempre nuove forme. L’atelier Capucci usa ago e filo, ma tratta la seta come metallo in infinite modulazioni ottenute con gli stampi da plissettatura. In tal modo crea forme a ventaglio, sfaccettate, incrostate, con giochi di luce e di ombra e moltissime variazioni cromatiche.
Lui stesso non ha mai eletto un “colore simbolo” che lo distinguesse come altri sarti, ma “usa il colore secondo una personale necessità”. Nello stesso tempo ha accostato tessuti preziosi come la seta a materiali inconsueti come paglia, ottone, plexiglas, cristalli di rocca, tubi di plastica, ciottoli di pietra. Le sue creazioni si presentano così come abiti a linee spezzate, a cubi, ad anello, a spirale, a fiori stilizzati, a grandi farfalle, con elementi asimmetrici, zampilli, grandi arricciature di seta, lunghe code. Meticolosissimo, per ogni sua presentazione prepara fino a 1200 bozzetti per poi selezionarne una parte. Non risparmia né in lavoro né in costi: quattro mesi per realizzare un abito che può richiedere fino ai 180 metri di tessuto. Non è interessato né alla vestibilità né alla portabilità, ma i suoi modelli sono scultura pura libera da esigenze materiali e temporali. Nel 1910 la sua ultima sfilata ha proposto stupefacenti abiti ispirati alla Cina, sia nei colori, sia nelle forme che ricordano, perfino nei fantastici cappelli, pagode e architetture tipiche. Ogni vestito aveva il nome degli splendidi paesaggi della Repubblica popolare cinese. Dal 2006 è stata istituita a Firenze la fondazione Roberto Capucci con la finalità di conservare e promuovere le opere del maestro e lanciare nuovi talenti. Le sue opere sono ospitate nei maggiori musei del mondo.
Bibliografia:
Fantasie guerriere, catalogo della Mostra, Silvana editoriale, Milano, 2008
Amelia Bottero, Nostra signora la moda, Mursia. Milano, 1979
Guido Vergani, Dizionario della moda, Baldini Castaldi Dalai editore, Milano, 2009
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