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mercoledì 15 aprile 2015

Abito alla costituzione, fibbie alla Bastiglia, orecchini alla ghigliottina

Quando il marchese di Dreux-Brézé, gran cerimoniere di Luigi XVI di Francia, organizzò per
 il 5 maggio 1789 l’apertura degli Stati Generali – assemblea che rappresentava i tre ceti sociali del paese – escogitò l’idea di rimarcare le differenze di classe tra aristocratici, clero e cittadini comuni obbligando questi ultimi ad indossare un semplice abito nero, senza spada e senza ornamenti, a fronte delle sete, delle fodere dorate, dei gioielli, dei mantelli e dei pennacchi permessi agli altri. Il drammatico contrasto, voluto per far pesare ai cittadini la loro condizione di inferiorità, era lo specchio del sistema feudale a cui era sottoposto il paese: il 14 luglio dello stesso anno con la presa della Bastiglia ebbe inizio la Rivoluzione che, sul piano della moda, costituì una rottura radicale con l’Antico regime vestimentario.
Alla base del cambiamento di gusto ci fu il rigetto da parte della popolazione per tutto ciò che poteva anche lontanamente ricordare l’odiata aristocrazia: cipria e parrucche, busti e  sottogonne rigide sparirono dalla circolazione, mentre gli uomini adottarono calzoni lunghi al posto delle culottes, ossia le braghe sotto al ginocchio usate dalla nobiltà (il nome dei famosi sanculotti, i patrioti più radicali, derivava appunto dall’epiteto sans-culottes). Chi si azzardava a indossarle o ad ostentare sete, gioielli e sfarzose decorazioni, correva il rischio di essere identificato a vista come filo-monarchico e finire sotto la lama della ghigliottina.
Sembrerebbe ovvio che in un periodo così drammatico una questione frivola come il guardaroba dovesse essere messa nel dimenticatoio, ma ciò avvenne solo in parte, e anche nella situazione convulsa della Francia l’interesse per l’abbigliamento non si spense del tutto. Alcuni giornali di moda resistettero eroicamente e, pur evitando del tutto di menzionare le circostanze politiche, pubblicarono modelli femminili e maschili che vi si riferivano: abiti e cappelli patriottici coi colori di Parigi, il blu e il rosso, che sarebbero poi entrati nella bandiera francese e che ostentavano la coccarda “Alla nazione”; oppure vestiti “à la Constitution”, “à la Démocrate”, ai “Tre ordini” con evidente attinenza ai gruppi componenti gli Stati generali. Dopo la presa della Bastiglia, la riproduzione dell’antica fortezza che simboleggiava l’oppressione assolutista diventò un motivo ricorrente nella decorazione dei mobili, delle maniglie delle porte, e perfino dei bottoni e delle fibbie per scarpe, mentre si crearono gioielli in ferro con incastonati frammenti delle sue pietre. Le follie modaiole non si spensero nemmeno sotto il Terrore quando le signore à la page esibirono orecchini in ferro “alla ghigliottina” e ventagli decorati col funereo strumento di morte.
La ventata di libertà che travolse la Francia fece decadere gli odiosi regolamenti censori – allora diffusi in tutta Europa -  che vietavano alla gente di indossare ciò che desiderava, e le vesti non poterono più essere considerate uno spartiacque sociale. Di conseguenza l’8 Brumaio anno II, corrispondente al 29 ottobre 1793, la Convenzione emanò il seguente decreto: "Nessuna persona dell'uno o dell'altro sesso, potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in modo particolare, sotto pena di essere trattata come sospetta, o perseguita come perturbatrice della pubblica quiete; ognuno è libero di portare l'abito o gli accessori che preferisce”.
Un anno dopo, la caduta di Robespierre e la fine del Terrore, permisero alla cittadinanza entusiasta di mettere in pratica il suo desiderio di emancipazione modaiola e le vetrine dei negozi tornarono a riempirsi di merci. I francesi usciti di prigione o di ritorno dall’esilio si abbandonarono ai piaceri della vita; a costoro furono anche restituiti i beni confiscati dal governo rivoluzionario: approfittando del giro di fortuna gli scampati istituirono “I balli delle vittime”, riunioni danzanti a cui potevano intervenire solo coloro che avessero avuto almeno un parente ghigliottinato. Sebbene queste feste fossero disapprovate da molti, per coloro che intervennero dovettero costituire un momento di catarsi collettiva: i partecipanti erano abbigliati con emblemi luttuosi, mentre le signore, che avevano la testa rasata come le condannate a morte, indossavano un nastro rosso intrecciato sulla schiena, detto “Croisures à la victime” che doveva ricordare il taglio della testa.
La linea degli abiti si era andata modificando dall’inizio della Rivoluzione con l’affermazione di una moda che cercava la semplificazione e la leggerezza: ridotte in larghezza, le vesti  femminili non avevano più busti né armature interne ma solo una breve arricciatura ai fianchi, mentre cominciarono a preferirsi leggeri e chiari tessuti di mussola su cui portare una giacca o una redingote. Il nuovo stile sobrio e verticale è da collegarsi anche con la scoperta di Pompei ed Ercolano i cui scavi, iniziati a partire dal 1748, causarono in Europa una vera e propria mania per l'arte greco-romana e per la linearità delle vesti antiche, che si credevano bianche senza sapere che i colori con cui erano state dipinte le statue si erano completamente dilavati nei secoli.
In Francia, che dai tempi del re Sole era il centro mondiale di ogni tendenza, pioniere del nuovo gusto furono Juliette Recamier e Madame Tallien (detta nostra signora del Termidoro), tra le maggiori esponenti del jet - set parigino. Come loro, le donne che si vestivano "a l'antique" erano chiamate "Merveilleuse", mentre i loro azzimati compagni erano detti “Incroyable”; questi ultimi erano riconoscibili per i vestiti strapazzati dai colletti enormi, per i cravattoni che coprivano il mento come una sorta di “collare ortopedico”, per le calze colorate e attorcigliate alle caviglie, per i capelli lunghi che creavano un effetto – come si diceva allora – “a orecchie di cane”.
Tornando alla moda femminile, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento si portò l’interpretazione dello stile greco fino agli estremi; forse a causa del processo di laicizzazione totale avviatosi con la Rivoluzione, o forse per un comprensibile bisogno di libertà dopo che il corpo era stato ingabbiato per secoli dal metallo, dal vimini e dalle stecche di balena, le donne iniziarono a spogliarsi indossando vesti trasparentissime sotto cui al massimo mettevano una calzamaglia color carne. Per un certo periodo per la signora alla moda fu un punto d’onore di non avere addosso più di due etti di indumenti, scarpe comprese. Tuttavia braccia scoperte, glutei in evidenza, scollature abissali anche d’inverno, promettevano raffreddori e polmoniti e diventarono il bersaglio dei caricaturisti e dei monelli in strada; la cosa andò avanti fino a quando Napoleone Bonaparte, ormai insediatosi, convinse la moglie Giuseppina di Beauharnais – il cui abbigliamento era ammirato e copiato dalla popolazione femminile - a indossare grandi e caldi scialli di cachemire indiano, cui seguì a breve il ritorno dei soprabiti. Cessata l’ondata rivoluzionaria, il corpo delle donne tornò a coprirsi in vista di una nuova definizione delle regole di moda, ormai dettate non dall’aristocrazia, ma dalla borghesia, nuova classe emergente dal conflitto.

Bibliografia:

lunedì 20 maggio 2013

La libera moda neoclassica femminile

Durante la rivoluzione francese, e precisamente l'8 Brumaio anno II, corrispondente al 29 ottobre 1793, la Convenzione emise un decreto che recitava così: "Nessuna persona dell'uno o dell'altro sesso, potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in modo particolare, sotto pena di essere trattata come sospetta, o perseguita come perturbatrice della pubblica quiete; ognuno è libero di portare l'abito o gli accessori che preferisce." L'editto era rivoluzionario, perché si opponeva in modo radicale alle leggi Suntuarie, ossia quel corpo giuridico che limitava o vietava di portare indumenti che non fossero relativi alla propria classe sociale, aumentando l'enorme distanza che separava le classi medie o povere da quelle ricche e privilegiate dell'aristocrazia e del clero.
Fra tutte le ingiustizie questa era particolarmente odiosa, perché rendeva immediatamente riconoscibile chi non apparteneva alla nobiltà. Il 5 maggio 1789, all'apertura degli Stati generali, i borghesi, che appartenevano al terzo stato, si presentarono in abito nero - obbligatorio per la loro classe - e cravatta bianca, a fronte dell'aristocrazia addobbata con estremo sfarzo e colori brillanti. Il drammatico contrasto, invece di creare un clima di umiliazione, provocò l'effetto opposto, e i semplici abiti scuri diventarono simbolo di pulizia morale e di nuovi ideali. L'iniqua proibizione finì per causare, come primo provvedimento, l'abolizione per il solo vestiario di ogni differenza di classe, mentre riguardo a quello femminile si dovette aspettare qualche anno dopo.   
Gli ultimi anni del Settecento avevano in ogni caso visto profondi mutamenti nella moda a causa dell'influenza del costume inglese, e della riscoperta di Pompei ed Ercolano, i cui scavi,  iniziati a partire dal 1748 causarono una vera e propria mania per l'arte greco - romana. Lo stile Neoclassico, con le sue linee semplici e l' uso di colori chiari o addirittura del bianco, soppiantò così il Barocco: le statue drappeggiate con abiti di foggia antica incantarono tutta l'Europa, nella mancanza di consapevolezza che i colori con cui erano state dipinte, si erano completamente dilavati nei secoli.
In Francia, che dai tempi del re Sole era il centro mondiale di ogni tendenza, pioniere del nuovo gusto furono Juliette Recamier e Madame Tallien, tra le maggiori esponenti del jet - set parigino. Come loro, le donne che si vestivano "a l'antique" erano chiamate "Merveilleuse". Gli abiti che indossavano davano l'impressione di una spigliata leggerezza, sia per la semplicità del taglio, sia per la  trasparenza delle stoffe di garza.
La vita fu portata sotto al seno, la scollatura abbassata, le maniche si accorciarono a palloncino mostrando per la prima volta la nudità delle braccia. Molte caricature mostrano le signore accompagnate dai loro corrispettivi maschili detti "Incroyable", che invece avevano colletti che coprivano completamente il mento, vestiti sdruciti e un nodoso bastone da passeggio. I vestiti alla greca chiamati "alla Flora", "alla Diana", all'Onfale", erano talmente sottili che non c'era posto per le tasche e si dovette inventare una borsetta a sacchetto, detta alla latina "reticule".  La grande novità fu la sparizione del busto, che tuttavia venne reintrodotto qualche tempo dopo in forma molto leggera e in modo da spingere il seno in alto. I piedi erano calzati da coturni, le teste acconciate alla greca e fasciate da bende ricamate, e tornarono i gioielli a cammeo. Madame Hamelin spinse all'estremo il suo abbigliamento tanto che, uscita dalla carrozza praticamente svestita, fu costretta a scappare precipitosamente perché fatta oggetto di lanci di sassi. Il corpo così esibito esaltava la giovinezza e la bellezza delle forme, certamente ispirandosi alla statuaria greca del periodo classico.
Era ancora vivissimo il ricordo della Rivoluzione, e a Parigi si organizzarono Balli "a la victime", dove chi partecipava doveva avere avuto almeno un parente ghigliottinato e dove il cattivo gusto imponeva di portare un nastrino rosso al collo che simulava il taglio della testa, e i capelli cortissimi come quelli dei condannati a morte. Il modo di vestire era una conseguenza della ritrovata - se pur per breve tempo - libertà femminile: la donna poteva esprimere le sue opinioni pubblicamente, fare sfoggio della sua cultura, avere un atteggiamento indipendente nei confronti dell'uomo.  
Nel 1799 Napoleone Bonaparte assunse il potere con un colpo di stato. Oltre ad essere un combattente e un
condottiero e ad aver riformato il Codice di leggi civili, capì perfettamente l'importanza della moda per l'economia francese e, pur non essendo personalmente interessato all'eleganza, finanziò il "Journal des Dames et des Modes", un periodico che conteneva numerose tavole illustrate e che contribuì alla diffusione del gusto. Napoleone non scoraggiò mai i capricci della moglie Joséphine de Beauharnais, che spendeva cifre folli per gli indumenti e non ne indossava mai uno due volte di seguito, diventando così un'icona dell'eleganza.
La moda delle vesti trasparenti, detta "del nudo", furoreggiò fino al 1805; ormai si diceva che una signora non era ben vestita ma "ben svestita" e si arrivò a pesare l'abbigliamento, scarpe e gioielli compresi, che non dovevano complessivamente oltrepassare i due etti; sotto all'abito si poteva portare una leggera e aderentissima calzamaglia color carne, mentre il seno era spinto in alto in modo da mostrare parte dei capezzoli. Alcune signore arrivarono invece a bagnarsi o ad ungersi il corpo perché il tessuto aderisse meglio e mostrasse le forme. Unica copertura anche d'inverno, era un morbido scialle di cachemire proveniente dall'India, il cui prezzo era paragonabile a quello di un'odierna automobile, e che diventò oggetto del desiderio al punto che a Madame Hamelin ne fu rubato uno durante un ballo. Abiti e accessori potevano però essere copiati da tutte le signore abbienti, e lo scialle diventò l'unico capo che distingueva le donne di stile; se ne perciò produssero molte imitazioni che tuttavia non riuscirono ad eguagliare la bellezza e la leggerezza degli originali, e fiorì il marcato  dell'usato.
Oltre allo stile greco anche le conquiste napoleoniche influenzarono il gusto. Dalla fine del Settecento era nato in Europa un crescente interesse per l'Oriente e in particolare per l'Impero ottomano; gli aristocratici si fecero ritrarre spesso in costume turco, mentre la moda cercò di imitarne - se pure in modo improbabile - alcuni dettagli, come i bordi di pelliccia in ermellino. La campagna d'Egitto condotta da Napoleone nel 1798, contribuì a rilanciare "le turcherie" attraverso la diffusione di disegni e incisioni: nacquero così abiti "alla mamelucca" o "alla sultana" mentre il turbante entrò a far parte dei copricapi femminili e a volte anche maschili.
La moda del nudo imperversò fino a quando un'epidemia di influenza non decimò la popolazione femminile francese, che fu costretta a tornare ad indumenti più pesanti. All'abbandono dei leggeri tessuti di cotone contribuì anche lo stesso Bonaparte, che vietò di importare questo tessuto per combattere l'Inghilterra anche sul piano commerciale, cercando di implementare, pur senza riuscirvi,  la produzione francese: il Calicò, il Chintz, il Madras, la Mussola, il Nanchino, il Percalle, provenivano infatti dalle colonie inglesi. Dopo l'incoronazione di Napoleone a Imperatore, avvenuta nel 1804, si diffusero tessuti spessi e pesanti in raso lucido o lana a cui furono aggiunte guarnizioni ricamate, passamaneria, frappe, volants, che andavano da metà della veste fino all'orlo. Le scollature furono mitigate o scomparvero addirittura: alle vesti fu abbinata una camicetta trasparente che terminava con un piccolo collo a gorgiera di ispirazione rinascimentale. Resuscitarono redingotes e soprabiti foderati in pelliccia, dal collo alto e dalle maniche lunghe, soprannominati in francese "Douillettes", forse grazie al tepore che sprigionavano. Comparve anche lo Spencer, un grazioso giacchettino che arrivava fino alla vita ed era realizzato in tessuto scuro, solitamente contrastante con quello dell'abito.
Al posto della donna svestita si diffuse l'immagine di quella infagottata, anche perché da tessuti, sciarpe e
cappelli spuntavano solo il viso e le caviglie. L'imperatore volle costituire attorno a sé una corte che ricordasse i fasti di quella di Versailles: introdusse quindi rigide regole d'etichetta, obbligando funzionari e dignitari a indossare uniformi in velluto nei colori blu, azzurro, nero e grigio, con decorazioni in oro, fusciacche e frange. Anche le dame erano tenute a seguire gli ordini di Napoleone, che le obbligava a cambiare abito ogni volta, e le redarguiva severamente in pubblico nel caso non lo avessero fatto; in questo era certamente influenzato da Joséphine, nota per il suo gusto squisito. Fastosi erano gli abiti da cerimonia: per la sua incoronazione Napoleone volle ispirarsi a quella di Carlo Magno e ne realizzò la regia aiutato da molti artisti, tra cui il pittore Isabey, che era incaricato di disegnare i costumi.  Un famoso quadro di David rappresenta la scena: l'imperatore, vestito con una veste bianca e un mantello di velluto rosso eicamato in oro, incorona la moglie. Joséphine porta anch'essa una veste di seta bianca a vita alta, con maniche lunghe fino a metà mano e un sontuoso manto rosso dall'immenso strascico e foderato d'ermellino, retto da uno stuolo di damigelle. Il mantello di corte partiva dalla vita, a cui era agganciato per mezzo di lacci, e diventò l'usuale capo indossato durante le cerimonie. Dalle spalle alla nuca si innalzava un rigido collo in pizzo detto "cherusque". lontano parente dei colletti lanciati da Caterina de' Medici in Francia.
La realizzazione dei costumi era stata affidata al sarto Leroy, che aveva cominciato come coiffeur sotto l'Ancien Règime ed era scampato alla rivoluzione. Leroy era il fornitore di Joséphine e un'abile uomo d'affari noto in tutta Europa; per mantenere sempre l'attenzione sul suo sontuoso atelier modificava il suo stile, facendo sì che i vestiti da lui creati diventassero rapidamente obsoleti. I suoi abiti avevano un ottimo taglio, ed era riconosciuto come un maestro nella creazione dei bustini.  
Il 5 maggio 1821 Napoleone morì a sant'Elena; nel 1810 aveva divorziato dalla moglie per sposare Maria Luigia d'Austria nella speranza di avere un erede. La nuova imperatrice, poco popolare in Francia, non seppe e non volle continuare lo stile di Joséphine; le sconfitte dell'imperatore inoltre, avevano diminuito notevolmente il fasto della corte e ridotto l'attenzione sulla moda. La restaurazione fu un tentativo di riportare in auge gli antichi regimi, mentre il gusto romantico vincente sullo stile neoclassico, condusse a un cambiamento radicale dell'immagine e del costume femminile. La libertà della donna fu inghiottita dalle pastoie impostele dalla società borghese, e il ritorno del busto segnò l'epoca di una nuova sottomissione che durò fino al Novecento, quando il couturier parigino  Paul Poiret ricreò gli abiti a vita alta e senza busto, dimostrando che l'eredità neoclassica non era andata persa.

Bibliografia:
Rosita Levi Pizesky: Storia del costume in Italia, Istituto editoriale italiano, Volume V, Milano
Grazietta Buttazzi, Alessandra Mottola Molfino: Classicismo e libertà, De Agostini, Novara, 1992
Cristina Barreto, Martin Lancaster, Napoleone e l'impero della moda - 1795/1815, Skira, Milano, 2010

Link:
http://omgthatdress.tumblr.com/
http://athousandpix.blogspot.it/2010/11/costume-parisien-napoleon-era-fashion_07.html