Una delle cause del fascino sempreverde dell'antico Egitto, è lo stato cristallizzato di bellezza - immune da vecchiaia, brutture e malattie - con cui i Faraoni, i notabili e le loro consorti hanno consegnato ai posteri le loro immagini dipinte e scolpite. Il dono dell'eterna giovinezza faceva parte delle delizie dell'aldilà: come nella loro vita terrena il defunto e la defunta non si facevano mancare la loro fornitura perenne di cosmetici contenuti in meravigliosi e raffinati beauty case che custodivano lo specchio in metallo lucidato, i vasetti, i balsamari e i cucchiai per le creme, le pinzette per depilarsi le sopracciglia e i bastoncini per il trucco.L'uso di questi prodotti è attestato nel paese fin dai tempi più antichi: nata come fenomeno religioso, la cosmesi si esprimeva negli interventi estetici sul corpo del Faraone, nei riti di iniziazione, nelle operazioni di imbalsamazione, nella decorazione giornaliera delle statue degli dei accompagnati sempre da formule e preghiere. Come è noto gli egiziani adoravano animali e piante che collegavano alla creazione, alla morte e alla resurrezione: truccarsi per loro non era un
semplice atto di abbellimento ma la premessa per l'invenzione di un corpo incorruttibile. la cosmesi era spesso associata alla medicina e alla magia, per cui non meraviglia che gli ingredienti per queste pratiche fossero spesso i medesimi, mentre le varie ricette - parzialmente giunte fino a noi grazie ai cosiddetti "papiri medici" - venivano elaborate salmodiando formule scaramantiche per propiziarsi l'aiuto degli dei e allontanare gli spiriti maligni.
Dobbiamo ad Erodoto la descrizione della
fertilità del terra inondata dal Nilo da cui gli egizi traevano senza fatica
piante e frutti: tra le moltissime specie a disposizione, particolarmente
apprezzate per uso cosmetico erano quelle oleose e resinose ricavate da alcuni
tipi di palma, e quelle intensamente profumate come l’incenso, la mirra, il
cinnamomo, il ginepro e il coriandolo. Per le classi povere c’era invece l’olio
di ricino, che – racconta Erodoto – era usato per le lampade e per ungere il
corpo ed emetteva “un odore nauseabondo”.
Nelle fantasiose ricette rientrano anche animali magici: per prevenire i capelli bianchi una di queste suggerisce di “spalmarsi con un unguento fatto con la vertebra di un uccello mescolata a puro laudano, poi stendere la mano sul dorso di un nibbio vivo e appoggiare la testa su una rondine viva”. Il significato simbolico che gli egizi attribuivano a questo grazioso migratore, che spariva per luoghi misteriosi e puntualmente ricompariva ogni anno, era collegato all’idea che portasse via con sé il male e la negatività. Tra le varie forme di magia, molto praticata era quella di tipo “simpatico”, secondo la credenza, arrivata fino a noi tramite l’omeopatia, che il simile cura il simile: così una curiosa ricetta per scurire le chiome mescola preparati ricavati da animali rigorosamente neri: sangue del corno di un bue, fegato d’asino, un girino e un topo.
semplice atto di abbellimento ma la premessa per l'invenzione di un corpo incorruttibile. la cosmesi era spesso associata alla medicina e alla magia, per cui non meraviglia che gli ingredienti per queste pratiche fossero spesso i medesimi, mentre le varie ricette - parzialmente giunte fino a noi grazie ai cosiddetti "papiri medici" - venivano elaborate salmodiando formule scaramantiche per propiziarsi l'aiuto degli dei e allontanare gli spiriti maligni.

Nelle fantasiose ricette rientrano anche animali magici: per prevenire i capelli bianchi una di queste suggerisce di “spalmarsi con un unguento fatto con la vertebra di un uccello mescolata a puro laudano, poi stendere la mano sul dorso di un nibbio vivo e appoggiare la testa su una rondine viva”. Il significato simbolico che gli egizi attribuivano a questo grazioso migratore, che spariva per luoghi misteriosi e puntualmente ricompariva ogni anno, era collegato all’idea che portasse via con sé il male e la negatività. Tra le varie forme di magia, molto praticata era quella di tipo “simpatico”, secondo la credenza, arrivata fino a noi tramite l’omeopatia, che il simile cura il simile: così una curiosa ricetta per scurire le chiome mescola preparati ricavati da animali rigorosamente neri: sangue del corno di un bue, fegato d’asino, un girino e un topo.

Gli egiziani
abbienti e beneducati si detergevano al risveglio e prima e dopo i pasti
principali; al posto del sapone, ancora
sconosciuto, si usava una pasta a base di cenere e di argilla, calcite, sale,
miele, natron, un carbonato di sodio idrato che si estraeva in varie zone del
paese. Lo si adoperava anche per l’igiene orale, sfregandoselo sui denti con un ramoscello sfilacciato. Nonostante la
cura della bocca e l’abitudine di masticare preparati dall’aroma molto intenso,
l’alito degli egizi doveva essere piuttosto pesante visto che in molte mummie –
come quella del novantenne Ramesse II – si
sono scoperti carie ed ascessi dentali. Poiché la pelle liscia era un
importante elemento di seduzione, uomini e donne proseguivano la toilette rasandosi
il corpo: il papiro Ebers riporta una curiosa ricetta depilatoria che
consiste nel bollire e applicare sulla parte ossa di corvo carbonizzate,
escrementi di mosca, olio, succo di sicomoro, gomma, melone. Dopo
questi trattamenti ci si frizionava con prodotti a base di incenso o altre
pomate odorose. Nel clima torrido e assolato dell’Egitto ci si ungeva la pelle
per evitare rughe, screpolature o dolorose scottature. Questa pratica non era
limitata alla sola classe agiata, ma estesa a tutta la popolazione: prova ne
sia che sotto Ramesse III vi fu uno sciopero degli operai addetti alla
necropoli di Tebe, perché non venivano consegnate le derrate alimentari, la
birra e le scorte di oli solari.

Per il trucco del resto del corpo si adoperavano altri coloranti: le guance e la bocca erano dipinte con ocra rossa, le unghie con l’henné. Il tutto era posto sotto la protezione di varie divinità tra cui il brutto e deforme nano Bes – rappresentato su oggetti di uso domestico e sui vasi per cosmetici – incaricato di proteggere madri e neonati dagli spiriti maligni che lui scacciava facendo smorfie e mostrando la lingua.
Fonti:
Giuliano Imperiali, L’antica medicina egizia,
Xenia, 1995
Enrichetta
Leospo, Mario Tosi, La donna nell’antico Egitto, Giunti, 1997
Paolo Rovesti, alla ricerca dei cosmetici
perduti, Blow-up, Venezia, 1975