Quando
il marchese di Dreux-Brézé, gran cerimoniere di Luigi XVI di Francia, organizzò
per
il 5 maggio 1789 l’apertura degli Stati Generali – assemblea che rappresentava i tre ceti sociali del paese – escogitò l’idea di rimarcare le differenze di classe tra aristocratici, clero e cittadini comuni obbligando questi ultimi ad indossare un semplice abito nero, senza spada e senza ornamenti, a fronte delle sete, delle fodere dorate, dei gioielli, dei mantelli e dei pennacchi permessi agli altri. Il drammatico contrasto, voluto per far pesare ai cittadini la loro condizione di inferiorità, era lo specchio del sistema feudale a cui era sottoposto il paese: il 14 luglio dello stesso anno con la presa della Bastiglia ebbe inizio la Rivoluzione che, sul piano della moda, costituì una rottura radicale con l’Antico regime vestimentario.
il 5 maggio 1789 l’apertura degli Stati Generali – assemblea che rappresentava i tre ceti sociali del paese – escogitò l’idea di rimarcare le differenze di classe tra aristocratici, clero e cittadini comuni obbligando questi ultimi ad indossare un semplice abito nero, senza spada e senza ornamenti, a fronte delle sete, delle fodere dorate, dei gioielli, dei mantelli e dei pennacchi permessi agli altri. Il drammatico contrasto, voluto per far pesare ai cittadini la loro condizione di inferiorità, era lo specchio del sistema feudale a cui era sottoposto il paese: il 14 luglio dello stesso anno con la presa della Bastiglia ebbe inizio la Rivoluzione che, sul piano della moda, costituì una rottura radicale con l’Antico regime vestimentario.
Alla
base del cambiamento di gusto ci fu il rigetto da parte della popolazione per
tutto ciò che poteva anche lontanamente ricordare l’odiata aristocrazia: cipria
e parrucche, busti e sottogonne rigide
sparirono dalla circolazione, mentre gli uomini adottarono calzoni lunghi al
posto delle culottes, ossia le braghe sotto al ginocchio usate dalla nobiltà
(il nome dei famosi sanculotti, i patrioti più radicali, derivava appunto dall’epiteto
sans-culottes). Chi si azzardava a indossarle o ad ostentare sete, gioielli e
sfarzose decorazioni, correva il rischio di essere identificato a vista come filo-monarchico
e finire sotto la lama della ghigliottina.

La
ventata di libertà che travolse la Francia fece decadere gli odiosi regolamenti
censori – allora diffusi in tutta Europa - che vietavano alla gente di indossare ciò che
desiderava, e le vesti non poterono più essere considerate uno spartiacque
sociale. Di conseguenza l’8 Brumaio anno II, corrispondente al 29 ottobre 1793,
la Convenzione emanò il seguente decreto: "Nessuna persona dell'uno o
dell'altro sesso, potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in
modo particolare, sotto pena di essere trattata come sospetta, o perseguita
come perturbatrice della pubblica quiete; ognuno è libero di portare l'abito o
gli accessori che preferisce”.

La
linea degli abiti si era andata modificando dall’inizio della Rivoluzione con
l’affermazione di una moda che cercava la semplificazione e la leggerezza: ridotte
in larghezza, le vesti femminili non
avevano più busti né armature interne ma solo una breve arricciatura ai
fianchi, mentre cominciarono a preferirsi leggeri e chiari tessuti di mussola
su cui portare una giacca o una redingote. Il nuovo stile sobrio e verticale è
da collegarsi anche con la scoperta di Pompei ed Ercolano i cui scavi, iniziati
a partire dal 1748, causarono in Europa una vera e propria mania per
l'arte greco-romana e per la linearità delle vesti antiche, che si credevano
bianche senza sapere che i colori con cui erano state dipinte le statue si
erano completamente dilavati nei secoli.
In
Francia, che dai tempi del re Sole era il centro mondiale di ogni tendenza,
pioniere del nuovo gusto furono Juliette Recamier e Madame Tallien (detta
nostra signora del Termidoro), tra le maggiori esponenti del jet - set
parigino. Come loro, le donne che si vestivano "a l'antique" erano
chiamate "Merveilleuse", mentre i loro azzimati compagni erano detti
“Incroyable”; questi ultimi erano riconoscibili per i vestiti strapazzati dai
colletti enormi, per i cravattoni che coprivano il mento come una sorta di
“collare ortopedico”, per le calze colorate e attorcigliate alle caviglie, per
i capelli lunghi che creavano un effetto – come si diceva allora – “a orecchie
di cane”.
Tornando
alla moda femminile, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento si
portò l’interpretazione dello stile greco fino agli estremi; forse a causa del
processo di laicizzazione totale avviatosi con la Rivoluzione, o forse per un
comprensibile bisogno di libertà dopo che il corpo era stato ingabbiato per
secoli dal metallo, dal vimini e dalle stecche di balena, le donne iniziarono a
spogliarsi indossando vesti trasparentissime sotto cui al massimo mettevano una
calzamaglia color carne. Per un certo periodo per la signora alla moda fu un
punto d’onore di non avere addosso più di due etti di indumenti, scarpe
comprese. Tuttavia braccia scoperte, glutei in evidenza, scollature abissali
anche d’inverno, promettevano raffreddori e polmoniti e diventarono il
bersaglio dei caricaturisti e dei monelli in strada; la cosa andò avanti fino a
quando Napoleone Bonaparte, ormai insediatosi, convinse la moglie Giuseppina di
Beauharnais – il cui abbigliamento era ammirato e copiato dalla popolazione
femminile - a indossare grandi e caldi scialli di cachemire indiano, cui seguì
a breve il ritorno dei soprabiti. Cessata l’ondata rivoluzionaria, il corpo delle
donne tornò a coprirsi in vista di una nuova definizione delle regole di moda,
ormai dettate non dall’aristocrazia, ma dalla borghesia, nuova classe emergente
dal conflitto.
Bibliografia: